il Sole 24 Ore. Per l’industria alimentare italiana lo slancio guadagnato nel 2021 rischia di essersi già esaurito. Secondo le previsioni dell’Ufficio studi di Federalimentare, infatti, quest’anno la produzione aumenterà solo dell’1% contro il 6% dell’anno scorso, mentre l’export potrebbe fermarsi a una crescita tra il 2 e il 3%, decisamente meno del balzo del 10,7% messo a segno nel 2021. «I numeri cambiano in fretta perchè oltre a uno shock energetico si è innescato un problema di mancanza delle materie prime», ha detto ieri il presidente di Federalimentare, Ivano Vacondio, alla presentazone dell’edizione 2022 di Cibus, la fiera dell’agroalimentare che si terrà a Parma dal 3 al 6 di maggio. Grazie all’allentamento delle misure sanitarie, la 21esima edizione vedrà finalmente il ritorno in presenza dei buyer extra-Ue: attesi, secondo Fiere Di Parma, ci sono 3mila aziende espositrici e 60mila visitatori professionali «ma nessuno dalla Russia», come ha puntualizzato il presidente dell’Ice, Carlo Ferro.
Le filiere e la produzione agroalimentare nazionale oggi non possono prescindere dalle ripercussioni del conflitto russo-ucraino. «Pensavo che l’industria della trasformazione avrebbe dovuto gestire solo la fiammata dei prezzi delle materie prime – ha detto Vacondio – e invece temo che andiamo incontro anche a una carenza di materie prime, dal grano al mais al girasole. Dopo l’Ungheria, ieri anche la Serbia ha preso la decisione di non esportare più cereali per privilegiare la domanda interna. Ma è una china che il nostro governo e la Commissione europea devono ostacolare in ogni modo».
Sulle criticità degli approvvigionamenti innescate da conflitto ucraino è intervenuto anche il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che in un messaggio agli organizzatori di Cibus ha fatto sapere che «è stata avviata una riflessione, insieme al ministero delle Finanze e a quello dello Sviluppo economico, per potenziare il sostegno diretto alle filiere più esposte alle tensioni con la Russia». Mentre il sottosegretario agli Esteri, Manlio Di Stefano, ha aggiunto che «per quanto riguarda la crisi russo-ucraina stiamo attivando dei giri di tavolo per sostenere le imprese esportatrici ed eventualmente riprogrammare su altri mercati le perdite sui mercati russo e ucraino».
Caro-energia e caro-materie prime hanno anche innescato una spirale inflazionistica che le imprese alimentari ormai faticano a gestire: «Faccio un appello alla grande distribuzione e a tutta la filiera – ha detto ieri il presidente di Federalimentare – non ci si può dividere, bisogna riconoscere una serie di aumenti che ahimè su molti prodotti ormai sono a doppia cifra. A novembre e a dicembre questi aumenti li ha assorbiti tutti l’industria alimentare: ora non siamo più in grado di farlo. Perché se andiamo avanti così, molte aziende saranno costrette a chiudere i battenti».
L’Italia, ha ricordato il sottosegretario Di Stefano, è sempre tra i primi dieci esportatori mondiali di cibo. «La situazione odierna ci deve rendere ancora più determinati ad aumentare le nostre quote di food and beverage a livello mondiale – ha detto Antonio Cellie, ad di Fiere di Parma – in questi due anni di pandemia, in cui a tratti le fiere sono dovute restare chiuse, abbiamo lavorato per cercare, attraverso le piattaforme fieristiche digitali, nuovi operatori internazionali interessati al made in Italy alimentare. A maggio a Parma, oltre al ritorno dei buyer extra-Ue, aumenteranno quelli provenienti dalla Francia, dalla Germania e dal Nordeuropa: perché hanno capito che durante la pandemia i produttori italiani sono sempre riusciti a rifornire i clienti. Dobbiamo sfruttare questo vantaggio competitivo».
Sulla possibilità che in futuro le due principali fiere italiane dell’agroalimentare, cioè Cibus e la milanese Tuttofood, si fondano insieme, l’ad di Fiere di Parma resta però cauto: «Sul tavolo degli azionisti c’è un possibile ragionamento di armonizzazione – dice – ma replicare quello che c’è già non serve. Il mercato, invece, ha bisogno di avere qualcosa di simile a Cibus, ma su scala più globale: non certo a Parma, magari a Milano o a Roma. Non parliamo però di una fusione, parliamo di qualcosa di diverso da Tuttofood, dalla tedesca Anuga o dalla francese Sial».