A partire dal 2000 sono entrate molte donne nelle Forze armate e nelle Forze dell’ordine; sono, infatti, in attività numerosi Prefetti (40) e Questori (39) donna ma non risulta esserci un solo generale nelle quattro Armi e le quattro generalesse dei Carabinieri provengono dal Corpo forestale e dalla Polizia di Stato. Non molto diverso è lo scenario delle Università, laddove su 84 atenei si contano come Rettori 79 uomini e 5 donne. Sempre in ambito universitario, tra i 57.000 docenti è presente il 39% di donne ma, se si rileva la percentuale tra i professori ordinari, il numero scende al 25%. Dal dopoguerra abbiamo avuto ministri donne (poche, in verità). Tuttavia i 30 Presidenti del Consiglio e i 12 Presidenti della Repubblica sono stati sempre uomini. Addirittura ai tempi della monarchia in Italia vigeva la legge Salica che avrebbe impedito al popolo italiano di avere una regina come Vittoria o Elisabetta. Forte è stata la spinta, come si diceva, per la elezione di una donna al Quirinale ma non va dimenticato che quando sono stati scelti i Grandi Elettori regionali, su 58 delegati le donne sono state cinque soltanto.
Nel tempo sono state approvate decine di leggi per la parità uomo/donna e per la promozione delle cosiddette quote rosa ma lo stato generale del nostro Paese sul tema non è all’avanguardia in Europa tanto che nella classifica dell’apposito Indice elaborato dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige) attualmente l’Italia è al 14° posto nella classifica dei Paesi UE-27; infatti, in questo indice calcolato nel 2020 l’Italia ha ottenuto un punteggio di 63,5 su 100 e tale risultato è inferiore alla media dell’Ue di 4,4 punti. La situazione delle donne ai vertici della politica e dei contesti economico-sociali è stata oggetto di una articolata dialettica su “La Repubblica” tra Luca Ricolfi, Elena Stancanelli e Francesca Izzo che hanno dibattuto in modo molto stimolante sul ruolo e le colpe della sinistra in relazione alla scarsità di donne al potere.
E nella sanità pubblica come è attualmente la situazione della presenza femminile ? Nel 2019 è stata presentata da parte del Ministero della salute una pubblicazione titolata “Le donne nel Servizio sanitario nazionale” che riassume molti dati statistici sul tema. Nel documento si legge che la componente femminile è fortemente presente nel personale del Servizio sanitario nazionale: al 31/12/2019, sono 428.506 le donne che lavorano con contratto a tempo indeterminato presso le strutture del Ssn, ossia il 68% circa del personale del Ssn è costituito da donne (fonte Conto Annuale Igop – Ragioneria Generale dello Stato). In 24 articolate tabelle vengono poi analizzate tutte le situazioni per ruolo, profilo, tipologia di rapporto di lavoro, distribuzione per regioni, fasce di età, incarichi ricoperti, specialità mediche. Di particolare interesse è la tabella a pag. 17 dalla quale si ricava la bassa percentuale di donne “primario” medico (solo il 17%) e, ancor peggio, quella degli apicali veterinari (8,8%) mentre sono in maggioranza le donne direttrici di struttura complessa nella dirigenza sanitaria non medica (62,9%), in quella amministrativa (54,4%) e in quella delle professioni infermieristiche e tecnico-sanitarie (59,7%). Un’altra tabella significativa per la condizione femminile si trova a pag. 20 laddove si può rilevare come in alcune specialità mediche la presenza femminile sia veramente esigua: si va da percentuali superiori al 70% per Neuropsichiatria infantile e Pediatria fino a scendere sotto il 20% per Medicina dello sport, Cardiochirurgia, Ortopedia, Chirurgia maxillo-facciale e Urologia.
A integrazione dei dati contenuti nella pubblicazione ricordata è interessante analizzare gli aspetti maggiormente politici della presenza femminile nel Servizio sanitario nazionale che qui di seguito si riportano.
PRESIDENTI E ASSESSORI REGIONALI
Nel livello politico della sanità italiana si riscontra la tendenza ad una netta maggioranza di uomini. Infatti degli Assessori alla Sanità delle 21 realtà regionali solo 4 sono donne (Lombardia, Veneto, provincia di Trento e Abruzzo). Senza dimenticare che dei 21 “Governatori” e Presidenti di Provincia autonoma uno solo è donna (Umbria).
DIRETTORI GENERALI
Riguardo al vertice manageriale della sanità pubblica – cioè la platea dei direttori generali nelle Asl, Aziende ospedaliere, Aziende ospedaliero-universitarie, Irccs e altri enti di rilievo regionale quali Estar, Alisa, Azienda Zero, Areu, Ares, ecc. – il risultato è il seguente: sul numero complessivo di 192 Direttori generali risultano attualmente in servizio 46 donne, cioè il 24% pari ad un donna ogni quattro uomini. In assoluto è la Regione Lazio quella in cui la squadra dei Direttori Generali ha un record per il numero di donne. Con le ultime nomine del 2021 il numero delle donne alla direzione di Asl e aziende ospedaliere sale a 9 su 18, cioè esattamente la metà. Inoltre, si rilevano le realtà regionali in cui nessuno dei Direttori generali è donna: Abruzzo, Basilicata, Umbria, Liguria, Valle d’Aosta, Provincia autonoma di Bolzano, Provincia autonoma di Trento, Molise; nelle ultime quattro va segnalato, in ogni caso, che l’azienda sanitaria è una sola.
Ma nell’ambito del Servizio sanitario nazionale agiscono anche altri enti che mostrano una situazione ancora peggiore. Si tratta delle Agenzie per la Protezione dell’Ambiente e degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali. Ebbene, delle 21 Arpa esistenti 20 sono guidate da un uomo e una sola da una donna (in Molise) e anche per gli Izs è presente una isolata presenza femminile tra i 10 complessivi Direttori generali (Izs delle Tre Venezie).
FACOLTA’ DI MEDICINA
Sebbene le ragazze che si laureano ogni anno in medicina siano il 54% del totale (e con tempi minori), la situazione delle carriere universitarie è diversificata in quanto al 74% di presenza femminile tra i Ricercatori e gli assegnisti si contrappone un drastico 18% tra i professori ordinari titolari di cattedre nelle discipline mediche.
VERTICI DEGLI ORDINI PROFESSIONALI
La situazione degli ordini delle professioni sanitarie appare maggiormente equilibrata perché cinque federazioni hanno uno uomo Presidente (FNOMCEO, FNOVI, ONB, FOFI e CNOP, rispettivamente per medici e odontoiatri, veterinari, biologi, farmacisti, psicologi) mentre in quattro al vertice c’è una donna (FNOPI, FNOTSRM-PSTRP, FNOPO e FNOCF, rispettivamente per infermieri, tecnici rx e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, ostetriche, chimici e fisici). Il numero complessivo delle Federazioni non corrisponde al totale delle 30 professioni sanitarie ex lege 3/2018 in quanto alcune professioni hanno gli organi ordinistici in comune.
ORGANIZZAZIONI SINDACALI
Le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative in Sanità sono 15 (9 nell’Area sanità e 6 nel comparto) e gli odierni segretari (o coordinatori o presidenti, secondo i rispettivi statuti) risultano essere 13 uomini e 2 sole donne (Cisl FP e Uil FP sanità pubblica, perché proprio pochi giorni fa la Fassid ha eletto il nuovo Coordinatore nazionale che ha sostituito una donna). Perfino i due sindacati autonomi della professione infermieristica – con la stragrande maggioranza di donne nella categoria – hanno al vertice nazionale un uomo. Per fortuna il maggior sindacato dell’Area delle Funzioni locali dedicato alla dirigenza del S.s.n. ha una donna come segretaria
ALTRO
Il Comitato Tecnico Scientifico istituito dal Governo nel 2021 per il supporto alle decisioni relative alla pandemia ha 10 componenti uomini e solo 2 donne. Tra le organizzazioni di settore troviamo un relativo equilibrio con due uomini (Fiaso e Assoarpa) e una donna (Federsanità Anci). L’Osservatorio sulle violenze contro i sanitari di cui all’art. 2 della legge 113/2020 – peraltro ancora da insediare – è costituito “per la sua meta’, da rappresentanti donne”. Le commissioni di concorso pubblico – comprese le selezioni per la direzione di struttura complessa – devono avere ove possibile un terzo dei posti di componente riservato alle donne.
In conclusione, dai dati statistici sopra riportati sembra risultare una situazione abbastanza consolidata: quando per il posto di vertice viene utilizzata la metodologia bottom up dell’elezione diretta – come, ad esempio, per gli Ordini professionali – si riscontra una parità più o meno sostanziale, dovuta probabilmente alla massa critica delle iscritte. Quest’ultima circostanza tra l’altro esclude a monte ogni alibi perché se le iscritte al tal Ordine provinciale dei medici o degli infermieri – che sono in maggioranza – eleggono un uomo come presidente dell’Ordine, vuol dire che va bene così. Quando invece l’incarico discende con logiche top down da designazioni o nomine da parte di autorità sovraordinate lo scenario cambia del tutto e la presenza femminile crolla decisamente. Rispetto a questo schema, forse troppo semplicistico, sussiste comunque una eccezione piuttosto rilevante, quella sopra riportata dei vertici sindacali. A prescindere dalle considerazioni di cui sopra, si segnala, infine, che solo con l’intervento della legge si garantisce la parità o l’equilibrio di genere, come nei citati casi dell’Osservatorio e delle commissioni di concorso.