Il Corriere del Veneto. Da alcuni giorni stava male, così lei e la sua compagna di stanza erano isolate dal resto del gruppo: in tutto 15 lavoratori romeni arrivati due settimane fa nella Marca per la vendemmia in un’azienda vitivinicola. I sintomi della donna erano compatibili con il Covid ma nessuno ha chiesto l’intervento dei medici, nemmeno per un tampone rapido che potesse escludere i rischi per chi l’aveva frequentata, aveva pranzato con lei, raccolto i grappoli assieme a lei. Venerdì sera la donna, 48enne, è morta, e la sua collega 45enne, positiva, è stata ricoverata in terapia intensiva a Treviso.
Il contagio è emerso solo dai test svolti dopo il decesso. Ieri l’Usl 2 ha sottoposto allo screening gli altri 13 lavoratori stagionali e 5 persone, fra titolari e dipendenti, dell’impresa trevigiana che si trova sui colli Asolani. C’è già un’altra positività ma domani sarà necessario fare il molecolare a tutti: il focolaio va arginato; soprattutto è necessario capire da dove sia partito e se sia legato anche a soggetti esterni all’azienda.
«Stiamo monitorando la situazione con estrema attenzione, stante anche la gravità dei casi con cui è esordito questo cluster – sottolinea il direttore generale Francesco Benazzi –. Nel frattempo voglio ricordare a tutti che è importantissimo non sottovalutare la sintomatologia Covid e segnalare tempestivamente eventuali problemi per dar modo ai sanitari di intervenire con un’adeguata terapia il prima possibile».
Il focolaio scoppiato fra le colline del vino trevigiano arriva proprio quando i casi, nella Marca, stavano scendendo, e preoccupa. Sei uomini e otto donne sono arrivati insieme in pullman dalla Romania il 17 settembre, assunti dall’azienda: nessuno di loro è vaccinato, elemento di grande rischio in situazioni collettive e di coabitazione. L’allarme al 118 è scattato solo venerdì sera nell’alloggio messo a disposizione degli stagionali. Quando i sanitari sono giunti sul posto la 48enne era già morta; secondo le prime testimonianze raccolte, aveva manifestato sintomi nei giorni precedenti. Sono quindi disposti tamponi a tappeto, che andranno confermati dal molecolare. Tutti e 18 i testati sono in quarantena.
L’Usl trevigiana ha già avuto una fine estate problematica con i focolai generati nella comunità straniera dell’Est Europa. Subito dopo Ferragosto, infatti, il rientro nella Marca dei lavoratori dalla propria terra d’origine aveva comportato la scoperta di centinaia di casi di positività, alcuni dei quali avevano richiesto il ricovero in ospedale. Non vaccinati, avevano viaggiato in auto o in corriera per chilometri senza usare protezioni. Un picco epidemico imprevisto che aveva fatto impennare i casi nella Marca. Il Sisp aveva quindi fatto un censimento sulla vaccinazione dei trevigiani di origine straniera: i macedoni (il primo focolaio era partito da lì), erano vaccinati solo per il 37%; i romeni, a fine agosto, per il 30%. Dati bassissimi, meno di metà delle vaccinazioni registrate fra i residenti italiani. Benazzi lancia un altro appello: «Mi rivolgo a tutte quelle comunità, Paesi dell’Est in primis, che finora hanno aderito con basse percentuali alla campagna vaccinale: di Covid, e questa drammatica vicenda lo conferma, si può morire anche in età non avanzata. Vaccinarsi è fondamentale, per proteggere noi stessi e chi ci sta vicino».