L’accordo ancora non è scritto nero su bianco. Ma ormai l’intesa è a un passo. Prove tecniche di disgelo tra Matteo Renzi e i governatori sulla manovra 2016. Sono andate in onda nel tardo pomeriggio di ieri a palazzo Chigi e la pace, spinta con forza nelle ultime ventiquattr’ore dai pontieri del Pd, potrebbe scoppiare presto tra Governo e regioni. Intanto i governatori incasseranno molto probabilmernte già domani il jolly che il premier aveva in serbo: il decreto legge “salva bilanci ” che, includendo non solo il Piemonte, vale qualcosa come 9 miliardi di euro per sistemare l’azzardo dell’uso per la spesa corrente dei fondi per rimborsare i fornitori. Nel decreto (che confluirà nella legge di Stabilità) finiranno anche le nuove regole sul calcolo dei ripiani in favore delle regioni della spesa farmaceutica ospedaliera a carico delle imprese dopo la bocciatura della vecchia procedura di Tar e Consiglio di Stato: vale 1,2 mld, ma potrebbero diventare meno.
Poi, dopo i tavoli tecnici sulla spesa sanitaria e su quella extrasanitaria decisi ieri e che si insidieranno subito, la partita si trasferirà in Parlamento con tanto di emendamenti confezionati rapidamente.
Dopo il duro scontro dei giorni scorsi, tutti i partecipanti hanno parlato di un clima «sereno» nella “sala verde” di palazzo Chigi. E «costruttivo», per ammissione dello stesso Sergio Chiamparino. Nessuna polemica, è stato anzi lo stesso Renzi a mettere in chiaro: «Serve serietà non demagogia, nessun muro contro muro. Però deve essere chiaro che non c’è taglio alla sanità e che i fondi aumentano». Perché Renzi è stato chiaro: sul piatto ci sono 111 mld e per ora quelli restano. Per ora: perché in Parlamento e negli ambienti di Governo si lasciano intravedere spiragli per un incremento dell’ordine di 500 milioni. Si vedrà se, e come. Intanto il presidente del Consiglio ha insistito sulla necessità di «spendere bene», ha messo al centro i costi standard e i controlli dei costi degli ospedali. Sui contratti nella sanità – era presente la ministra Madia, con Beatrice Lorenzin, Carlo Padoan e il sottosegretario Claudio De Vincenti – ci sarebbe stata la rassicurazione che almeno 120 milioni (ne servirebbero 300-350) sarebbero extra fondi del Ssn. E ha aperto ancora, il premier, sugli investimenti e sui farmaci . Con un corollario da tempo rilanciato da Lorenzin: con la ripresa e l’aumento del Pil la sanità potrà contare nel futuri su un più consistente aumento delle risorse. «Il costo dei farmaci e l’invecchiamento della popolazione – avrebbe chiosato Renzi – ci impone di investire nel settore».
Parole che sono suonate come musica per i governatori del Pd. Non per i governatori leghisti e di Fi: «Aria fritta», ha bollato Roberto Maroni (Lombardia) le parole del premier, «nessun divertimento», ha frenato Luca Zaia (Veneto). «Manovra ampiamente insoddisfacente»,, ha commentato Giovanni Toti (Liguria). Per il resto in area Dem, un fiorire di commenti positivi. Per Enrico Rossi (Toscana) «la disponibilità di Renzi è importante, a partire dagli investimenti e dallo sguardo anche al dopo 2016». «Bene l’incontro, il dialogo continua» ha detto Debora Serracchiani (Friuli). «Siamo andati nella direzione giusta», ha aggiunto Catiuscia Marini (Umbria). Soddisfatto Chiamparino, dopo le accuse di questi giorni, in attesa di vedere come finirà in concreto la partita. E anche la ministra della Salute ha apprezzato: «Ci sono 1,3 miliardi in più del 2015: ma ora si deve fare in modo che le regioni li usino al meglio».
In che modo, con quali new entry nel testo della manovra, sarà indicato dai tre tavoli tecnici. Due dei quali toccheranno proprio la sanità, ha spiegato De Vincenti: governance e spesa farmaceutica, sia per i medicinali innovativi che per le nuove regole su tetti di spesa e ripiani, argomenti che da tempo dividono Governo e regioni. Ma con le partite ancora da decifrare dei contratti di medici e non medici, anche della stabilizzazione dei precari (si parla di 200-300 mln da rintracciare). Mentre sui vaccini oggi ci sarà l’accordo in Stato-regioni senza che le regioni rialzino le barricate sui costi. Ma si tratterà comunque di alzare ancora un poco l’asticella delle risorse: quei 500 milioni in più, appunto, se arriveranno. Magari con altre risorse da rintracciare tra le pieghe delle misure sanitarie della manovra, chissà se anche riducendo il costo (800 mln) dei Lea. E poi applicando rigorosamente i risparmi negli ospedali e negli acquisti. Perché questa è la vera scommessa: «Gli sprechi devono finire», il diktat di Renzi nella trattativa.
L’ANALISI. IL FEDERALISMO HA TRADITO IL DIRITTO ALLA SALUTE
Giusto ieri l’Ocse ci ha messo in guardia: spendiamo sotto la media dei Paesi avanzati, un italiano su dieci non cura i denti, siamo al top per obesità infantile, longevi ma in cattiva salute. Aggiungiamo che milioni di italiani ritardano le cure o non si curano affatto perché non possono pagarsele di tasca propria, che le liste d’attesa sono un male endemico in mezzo Stivale, che la corruzione è un vizietto molto di moda nell’universo della sanità. È tra estremi e paradossi che va “letto” il nostro Servizio sanitario nazionale . Con tanto di diritto alla salute tutelato dalla Costituzione , ma tradito nei fatti da ventuno sistemi che viaggiano a ventuno velocità. Con diritti sempre meno uguali per i pazienti e con le regioni che dal Lazio in giù vivono la salute sul bilico del precipizio dei conti e dell’assistenza. Mentre imprese e cittadini, proprio lì, pagano super addizionali e super ticket. Tutto questo, appunto, mentre spendiamo meno che altrove tra i Paesi Ocse.
Paradossi, ma solo apparenti. Che il malsano federalismo voluto nel 2001 e in questi anni pervicacemente inseguito da troppi, a partire dalle regioni, ha reso ancora più acuti. Riducendo a brandelli quell’apparente universalismo che tutti gli ultimi presidenti della Repubblica – da Ciampi a Napolitano fino a Mattarella – hanno ricordato essere una delle più importanti conquiste della nostra Repubblica.
Fatto sta che, proprio a partire dal federalismo, il finanziamento al Ssn è esploso dai 71 mld del 2001 ai 111 mld previsti per il 2016. Ben 40 mld in più in 15 anni: una crescita del 60 e più per cento. Poco, molto? Certo, 111 mld forse non saranno abbastanza, ma la sensazione è che anche 113 mld non sarebbero accettati da chi storce il naso. Quanto non è stato fatto per risparmiare in 15 anni? Di sicuro i conti del federalismo straccione li abbiamo pagati cari. Cittadini, assistiti, imprese. Ma voltare pagina, a questo punto, non può restare un semplice modo di dire. E le regioni, se resteranno tali e quali, sono già ora condannate a pagarne il prezzo. Chi più, chi meno. Sulla sanità, la ragion d’essere a volte fino all’80% dei loro bilanci, si stanno giocando tutto. Bastino o meno quei 111 mld che Renzi ha messo sul piatto con la manovra. È tempo, anzitutto per le regioni dove le cose non vanno da sempre, di cambiare rotta, di mettersi in riga, di cancellare sprechi, ruberie, interessi di casta. Di cacciare davvero gli amministratori incapaci.
Anche perché stiamo correndo più o meno consapevolmente verso un nuovo Welfare. Dove chi ha di più (solo loro?) pagherà di più. Perché se nel 2016 il Ssn sbarcherà il lunario, dal 2017 sarà sempre peggio. Il caso dei farmaci, come quello per l’epatite C, è sintomatico. Ne arriveranno tanti, sempre di più: come li pagherà lo Stato? E come si può pensare di acquistare a un piatto di lenticchie tecnologie decisive? A quel punto, quale sarà il limite della tutela del diritto alla salute?
Roberto Turno – Il Sole 24 Ore – 5 novembre 2015