Chiuse le indagini e citati in giudizio i quattro professionisti. I costi lievitati: «Un imbarazzante insieme di sbagli»
VENEZIA – Tutti responsabili, a vario titolo e in diversa misura: dall’archistar Santiago Calatrava, progettista del quarto ponte sul Canal Grande, ai tre ingegneri che come responsabili unici del provvedimento (rup) o direttori dei lavori per conto del Comune di Venezia, trasformarono la realizzazione di quest’opera in un’impresa infinita, con un’impressionante lievitazione dei costi, in un quadro di «macroscopica approssimazione e diffusa incapacità, sfociate in un imbarazzante, quanto stupefacente, insieme di errori».
È durissimo l’atto d’accusa con cui la Procura contabile del Veneto ha chiuso le sue indagini sulla contestata opera pubblica veneziana e citato in giudizio i quattro professionisti. Prima udienza, davanti alla Corte dei conti, a Venezia, il prossimo 13 novembre. Quasi quattro i milioni di cui si chiede la restituzione, come danno erariale. Soldi pubblici che, con une gestione oculata, non si sarebbero buttati. Somma che per il momento la Procura ripartisce così: un milione e 700mila euro all’ingegner Roberto Scibilia, che fu responsabile unico del procedimento (rup) e direttore dei lavori; un milione e 78mila euro all’architetto Calatrava; 723mila euro all’ingegner Salvatore Vento, che nel 2002 successe a Scibilia come rup; infine 379mila euro a Roberto Casarin, che invece ereditò la direzione dei lavori nel 2006.
Nell’atto di citazione, steso dallo stesso presidente della Procura contabile, Carmine Scarano, si ripercorre la storia travagliata di quest’opera, fin dal 1999. Gli errori iniziano subito, con la progettazione di Calatrava e la sua successiva validazione da parte del rup Scibilia. Una validazione «incauta – scrive Scarano – di un progetto assolutamente inidoneo, con conseguente danno erariale», pari anche al costo di una consulenza esterna alla Icmq spa di cui si avvale il Comune per 11.899 euro. Con l’appalto, poi, l’amministrazione comunale incorre «nell’ulteriore errore di non individuare correttamente, nella predisposizione del bando di gara, della categoria prevalente dell’opera». Si sceglie “strade, ponti, viadotti”, invece di “componenti strutturali in acciaio”, con il risultato che si presentano un «elevatissimo numero di imprese (115 domande, 78 ammesse) e la conseguente impossibilità di selezionare concorrenti appropriatamente qualificati». Tant’è che la vincitrice Cignoni deve affidarsi alla Lorenzon. Annota Scarano: «Due errori, connotati da grave negligenza e considerevole superficialità, afferenti ad attività preliminari, ma dai quali sono derivate conseguenze a catena che hanno pregiudicato l’intero procedimento determinando un irragionevole quando sproporzionato incremento dei costi».
Si arriva così al capitolo delle cinque perizie di variante, tra 2003 e 2007, che hanno dilatato tempi e costi dell’opera, per la Procura «riconducibili a errori o omissioni progettuali». Un «uso abnorme ed irrazionale» per un danno da 2 milioni e 263mila euro, stima la Procura, a cui ne aggiunge altri 357mila per la mancata applicazione dei ribassi d’asta. Altri soldi buttati da recuperare, quelli dell’accordo bonario raggiunto tra Comune e Cignoni per 437mila euro, all’interno di una contesa ancora in corso. All’origine sempre gli «errori progettuali», di qui la chiamata in causa del rup Scibilia. Ma Scarano ha parole durissime anche per Calatrava, che come «consulente della direzione dei lavori nulla ha fatto per ovviare alle carenze progettuali». L’ultimo capitolo contestato dalla Procura è quello dei costi di manutenzione di un ponte da sorvegliare continuamente per le sue geometrie particolari: dall’inaugurazione ad oggi è già costato 816mila euro. E per il futuro comporterà «un costante e spropositato esborso economico». Conclude, con una battuta amara, Scarano: «Il quarto ponte sul Canal Grande costituisce per la collettività un danno durevole a fecondità ripetuta».
Gazzettino – 5 Marzo 2013