di Andrea Ducci. Un sistema a maglie più strette, per evitare di finire in balia di scioperi indetti da sigle sindacali minori. Lo strumento è il referendum tra i lavoratori. A suggerirlo è Pietro Ichino, senatore del Pd, e autore del disegno di legge, arenato a Palazzo Madama, che dovrebbe disciplinare le regole sugli scioperi.
Senatore ormai da più parti viene evidenziata l’urgenza di regolamentare il diritto di sciopero. Serve davvero un giro di vite?
«Non si tratta di un giro di vite, ma di introdurre un principio di democrazia sindacale, come proposto anche dalla Commissione di Garanzia».
Democrazia sindacale in che senso?
«Nel disegno di legge che ho predisposto si limita l’intervento al settore dei trasporti, perché in questo settore, assai più che in altri, l’astensione dal lavoro di una frazione relativamente piccola di lavoratori può bloccare l’intera azienda o l’intera categoria, ostacolando anche il lavoro di tutti i terzi. Logica vuole che la decisione grave dello sciopero sia presa a maggioranza, o quanto meno con il consenso di una minoranza qualificata attraverso lo strumento del referendum».
Ma il referendum preventivo tra i lavoratori non è una soluzione macchinosa?
«È previsto dalle leggi tedesca, britannica, spagnola, e persino da quella greca: non sarebbe certo una anomalia nel panorama europeo. La mia proposta, però, è che il referendum debba essere attivato solo quando a proclamare lo sciopero sia una coalizione sindacale minoritaria nell’azienda, o nel settore».
Oltre a questa, quali altre misure sono in discussione al Senato?
«La mia proposta prevede anche una disciplina dell’assemblea sindacale per tutto il settore dei servizi pubblici. Il principio deve essere lo stesso che si applica per le ferie: quello cioè del contemperamento dell’interesse dei lavoratori o del sindacato con quello della regolarità del servizio, che di norma non deve essere interrotto dall’assemblea. Un’ulteriore misura è, per esempio, quella del disegno di legge Sacconi che, nei servizi pubblici, obbliga il lavoratore a dichiarare la propria adesione allo sciopero con almeno cinque giorni di anticipo».
Questa proposta di Sacconi in concreto è praticabile?
«Certo che sì. Anzi, in un libro di qualche anno fa sostenni che questo obbligo potesse già dedursi dalla regola vigente dal 1990 che impone l’informazione preventiva degli utenti. Se a questo obbligo sono vincolati il sindacato e l’impresa, perché mai non dovrebbero esservi assoggettati anche i singoli lavoratori? D’altra parte non c’è alcuna questione di segreto o di privacy, perché comunque la loro adesione allo sciopero alla fine è conoscibile da chiunque».
La riforma degli scioperi avviata nel 2015 è finita su un binario morto per ragioni politiche. Chi ha maggiore responsabilità all’interno della maggioranza?
«In realtà, in questa legislatura qualche cosa si è fatto. Mi riferisco all’assoggettamento del settore dei beni culturali alla disciplina generale dello sciopero nei servizi pubblici, a seguito di un episodio di chiusura improvvisa e indebita del Colosseo. Però, è vero, si sarebbe dovuto e potuto provvedere a un intervento più organico di completamento della disciplina della materia, soprattutto nel settore dei trasporti. Purtroppo ci si è limitati a proclamare la necessità di farlo in occasione delle emergenze più gravi. Su questo piano, tutta la nostra politica è responsabile della tendenza a muoversi, o a dire di volerlo fare, solo sotto la pressione delle emergenze».
Realisticamente quanto tempo occorre per ottenere una nuova regolamentazione degli scioperi?
«Se il governo e la maggioranza fanno proprie le dichiarazioni dei giorni scorsi del segretario del Pd Renzi e del ministro dei Trasporti Delrio, le commissioni Affari costituzionali e Lavoro del Senato possono sfornare il testo per l’Aula in quindici giorni. Un testo semplice, di quattro o cinque articoli in tutto, che potrebbe essere approvato anche prima della pausa estiva, poi dalla Camera prima della sessione di bilancio».
Il Corriere della Sera – 18 giugno 2017