Secondo il Servizio bilancio di Palazzo Madama “non sembra possibile” elevare la soglia minima della retribuzione variabile al livello previsto dal testo attuativo della riforma della pubblica amministrazione. Inoltre “i vincoli alla durata massima degli incarichi potrebbero determinare oneri aggiuntivi a carico di amministrazioni e commissioni”. Rilievi pure sui costi legati alle nuove Commissioni per la dirigenza
Il Servizio bilancio del Senato fa i conti sugli effetti del decreto Madia sulla dirigenza pubblica. E il risultato è che il testo varato a fine agosto, che i sindacati della Funzione pubblica hanno criticato perché apre la strada allo spoil system quando cambia il governo, rischia di aumentare i costi per lo Stato invece che ridurli. Nel mirino in particolare la soglia minima per la retribuzione di risultato, che l’articolo 8 del decreto fissa al 30% dello stipendio, “il triplo rispetto a quella prevista oggi (al 10%)”.
Secondo i tecnici che hanno preparato il corposo dossier sul decreto, triplicare l’importo “non sembrerebbe possibile”, né “attraverso un incremento generalizzato degli stipendi dirigenziali né, al contrario, attraverso un rinnovo contrattuale che tagli in modo drastico le quote ‘fisse’ della retribuzione, per spostarle sulla parte ‘premiale‘, in considerazione anche della circostanza che la stessa norma impone ai futuri contratti di garantire ai dirigenti attuali perlomeno il trattamento fondamentale già maturato”. A questo si aggiunge il fatto che “i vincoli alla durata massima degli incarichi” dei dirigenti pubblici (quattro anni più due), “potrebbero determinare oneri aggiuntivi a carico di amministrazioni e commissioni per la dirigenza per lo svolgimento delle procedure di selezione che dovranno periodicamente ripetersi e riguarderanno una platea ampia di personale”.
Infine non mancano i rilievi sulle tre istituende Commissioni per la dirigenza pubblica, che dovranno vigilare sulle selezioni, sulla valutazione dei dirigenti e sul funzionamento dell’intera macchina. Innanzitutto, annotano i tecnici, la presenza tra i componenti “di cinque soggetti titolari di incarichi istituzionali (presidente Anac, ragioniere generale, segretario generale Mae, capo dipartimento affari interni, presidente Crui) pone il problema della capacità di svolgere contemporaneamente entrambi i ruoli”. Subbi sollevati peraltro, durante un’audizione alla Camera, anche dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone. Inoltre la relazione tecnica del decreto non “espone i dati indispensabili a provarne l’effettiva sostenibilità, come peraltro espressamente stabilito dall’articolo 17, comma 6-bis, legge di contabilità” ma “si limita a ribadire che ai relativi componenti non verrà riconosciuto alcun tipo di compenso, riferendo che in virtù del comma 7 del dispositivo, il Dipartimento della funzione pubblica dovrà assicurare alla Commissione il necessario supporto amministrativo e logistico senza oneri aggiuntivi, dovendo avvalersi delle sole risorse umane e strumentali già disponibili ai sensi della legislazione vigente”.
Considerata però “la particolare complessità delle funzioni che saranno chiamate a svolgere le Commissioni in tema di selezione delle candidature, nonché dei pareri che le stesse saranno tenute a fornire alle Amministrazioni, nei termini tassativi ivi espressamente previsti, in caso di riorganizzazione delle amministrazioni (30 giorni dalla richiesta), nonché degli altri compiti stabiliti”, “andrebbero richiesti tutti gli elementi integrativi che risultino adeguati a permettere perlomeno una prima valutazione circa gli effetti d’impatto prevedibili dall’attuazione delle disposizioni in esame” e “a suffragare l’ipotesi di invarianza degli effetti sui saldi di finanza pubblica. In ogni caso, andrebbero indicate le risorse con cui si farà fronte agli oneri per rimborsi spese, comunque ammessi dal comma 4 in esame”.
Il Fatto quotidiano – 3 ottobre 2016