Un principio generale, in base al quale nessuno nella Pubblica amministrazione può guadagnare più del Capo dello Stato, e tetti differenziati (probabilmente quattro in tutto) per le diverse figure dirigenziali della Pubblica amministrazione. Saranno strutturati così gli interventi sugli stipendi pubblici, che ieri lo stesso presidente del Consiglio Matteo Renzi ha rilanciato annunciando per oggi un pacchetto di misure in grado di portare almeno 400 milioni di risparmio. La misura è nell’aria da settimane, pochi giorni fa il premier aveva ribadito al Sole 24 Ore di «non accontentarsi» del tetto da 312mila euro applicato dal 1? aprile con una circolare «eredità di Saccomanni», e la nuova operazione sui manager sarà un tassello importante (anche politicamente) nel mosaico di coperture per il taglio al cuneo fiscale.
Questa volta, però, più degli amministratori delle società entrano nel raggio d’azione delle nuove misure i dirigenti della Pa “vera e propria”. In questi giorni gli uffici sono stati impegnati in una ridda di ipotesi e simulazioni ma i numeri finali, che nei dettagli si conosceranno nei prossimi giorni, vengono decisi a Palazzo Chigi. Non solo: anche i segretari generali di Camera e Senato sarebbero stati “allertati” sui risparmi che ci si attende dalle strutture parlamentari, con il compito di individuare le vie per ottenerli.
In generale, comunque, prima di tutto la piramide degli stipendi pubblici dovrebbe essere limata parecchio, dai 311.658,53 euro lordi all’anno previsti oggi ai 239.181 euro riconosciuti al Capo dello Stato. Una sforbiciata del 23,3%, che potrebbe essere un po’ ammorbidita se si deciderà di tener conto del fatto che il Presidente della Repubblica non versa i contributi previdenziali, ma che in ogni caso trascinerà al ribasso tutto l’impianto delle retribuzioni di vertice. Già a fine 2013, nel cantiere collegato alla legge di stabilità, si era lavorato a un meccanismo di «tetti e sottotetti» differenziati per categoria di dirigenti, ma l’ipotesi era presto caduta.
Ora, con Palazzo Chigi in pressione sul tema, quel sistema è tornato di stretta attualità, e potrebbe vedere la luce una scaletta che attribuisce il tetto quirinalizio ai dirigenti apicali, e fissa limiti via via discendenti per capi dipartimento (per esempio intorno ai 190mila euro), dirigenti di prima fascia (ieri circolavano anche cifre intorno ai 120mila euro, ma per i numeri veri è bene attendere i provvedimenti) e per quelli di seconda fascia, a cui le simulazioni di questi giorni hanno individuato limiti da 70-80mila euro. Il tutto, nei progetti del Governo, potrebbe rappresentare un antipasto prima della ristrutturazione completa della struttura retributiva.
Quali che siano le cifre definitive, un meccanismo di questo tipo sembra destinato a interessare quasi tutti i dirigenti pubblici, a partire dagli enti pubblici non economici (Inps, Aci, Istat e così via) dove lo stipendio medio dei dirigenti di prima fascia supera i 232mila euro, e quello della seconda fascia si attesta a 135mila euro. Nei ministeri si viaggia invece fra i 187mila euro medi della prima fascia e gli 88mila euro della seconda, che salgono a quota 97mila se si guarda solo a Palazzo Chigi: simili, infine, i numeri attuali delle agenzie fiscali (188mila euro medi per la prima fascia e 95mila per la seconda). (Il Sole 24 Ore)
La sforbiciata sui dirigenti può valere un miliardo l’anno
Un tetto per gli stipendi ai vertici dei ministeri: scatta da 70 mila euro in su. Ai gradi più alti si guadagnano tra il 50 e l’80% più dei colleghi inglesi
Paolo Baroni. Arriva un nuovo tetto massimo di stipendio per gli «uomini d’oro» dei ministeri, capi di gabinetto e direttori generali, e poi una griglia rigida per tutti gli altri dirigenti, seconde e terze linee comprese, con tagli progressivi che scatteranno dai 70 mila euro lordi in su. Di pari passo col lavoro sul Def e l’avanzamento della spending review il governo affila le forbici e si prepara a tagliare gli stipendi dei grand commis. Già oggi il premier dovrebbe svelare una parte del suo piano: «parleremo anche di questo e sarete contenti» ha detto ieri Renzi ai cronisti che lo inseguivano per conoscere gli ultimi dettagli del Def.
L’obiettivo del governo è molto ambizioso: riducendo i compensi dei dipendenti pubblici che guadagnano di più si punta a risparmiare tra i 300 ed i 500 milioni euro. Del resto, stando alle stime elaborate dall’economista Roberto Perotti, che coordina il gruppo di lavoro di Renzi sulla spesa pubblica, sarebbe sufficiente ridurre del 20% lo stipendio dei cosiddetti dirigenti «apicali» e del 15% quello di tutti altri per far risparmiare allo Stato fra 800 milioni ed un miliardo di euro l’anno. L’idea di base che il governo vuole affermare è che nella pubblica amministrazione nessuno possa guadagnare più del presidente della Repubblica, ovvero 240mila euro lordi l’anno. Mentre fino ad oggi il tetto massimo era di 311mila, ovvero lo stipendio del primo presidente di Cassazione. Si tratterebbe di un taglio molto forte, che in molti casi rischierebbe di andare a toccare non solo la parte variabile e di risultato ma anche quella fissa dei compensi e quindi non di facile applicazione. Per questo è probabile che al momento di decidere l’asticella questa venga posta a metà strada, attorno a quota 270 mila. A cascata, poi, seguirebbero gli altri tagli: i capi dipartimento non potrebbero superare quota 190 mila, 120 mila i dirigenti di prima fascia e 80 mila quelli di seconda.
A tirare la cinghia saranno innanzitutto direttori generali e capi di gabinetto: quasi 400 persone in gran parte concentrate a palazzo Chigi (86), all’Economia e alle Infrastrutture. Ognuno di loro percepisce uno stipendio medio che supera i 200 mila euro, con punte di 243mila alla Salute e 217-218mila al Viminale e alla presidenza del Consiglio. Con i 349 dell’Avvocatura dello Stato che arrivano ad media di ben 274mila euro. Ma i tagli, sempre per stare nel perimetro del governo, toccherebbero anche gli altri 2400 dirigenti di prima e seconda fascia, i cui stipendi a palazzo Chigi e in dicasteri come Sviluppo, Salute e Ambiente veleggiano sempre attorno a quota 110 mila euro lordi l’anno. Ma se la sforbiciata partirà dai 70mila euro in su potrebbe rischiare qualcosa anche una parte di personale non dirigente della Farnesina (sono 3.265, con stipendi medi di 70.980 euro) ed i 174 dell’Antitrust il cui compenso viaggia a quota 98mila euro.
Tutte buste paga spesso fuori «mercato» segnala Perotti, di gran lunga superiori a quella delle medie europee. L’esperto di Renzi, in particolare, sul sito lavoce.info confronta gli stipendi dei funzionari italiani con quelli dei pari grado inglesi mettendo in evidenza che i nostri guadagnano in media il 50-80% in più. O se preferiamo, utilizzando i calcoli del commissario alla spending review Cottarelli, 12,63 volte il reddito medio procapite contro l’8,48 degli inglesi, il 6,44 dei francesi ed il 4,97 dei morigeratissimi tedeschi. Il confronto Roma/Londra lascia di stucco: al ministero dell’Agricoltura il capo di gabinetto guadagna 274.647 euro contro i 191.648 dell’omologo inglese, mentre i tre direttori di dipartimento arrivano a 287.136 euro contro 166.482. Agli Esteri il Segretario generale arriva a 301.320 contro 261.338 del numero uno del Foreign Office, il capo di gabinetto a 273.172 contro 150.995. Al ministero dell’Economia i 4 direttori generali percepiscono in media quasi il doppio dei loro colleghi d’Oltremanica: 288.986 euro contro 153.898. E anche al ministero della Salute direttore di dipartimento e direttori generali (14) surclassano i colleghi inglesi, rispettivamente con 293.364 euro contro 191.648 e 231.853 contro 163.772.
Eccoli qui i primi cedolini che verranno sforbiciati. Questione di giorni. (La Stampa)
8 aprile 2014