Con l’avvio delle trattative su ministeri e agenzie fiscali in programma mercoledì, il rinnovo del contratto per i dirigenti pubblici esce dall’ombra in cui l’hanno tenuto per mesi i negoziati sui dipendenti. Ma il confronto fra Aran e sindacati non si annuncia semplice, perché in tutte le quattro aree della dirigenza sono disseminate delle mine.
Proprio sull’atto di indirizzo per i dirigenti delle «Funzioni centrali» sono ora puntati gli occhi, perché come sempre è il testo sui “ministeriali” – ora esteso ad agenzie fiscali ed enti pubblici non economici – a far da guida per le materie comuni agli altri settori della Pa.
Sul piano economico la situazione è tranquilla, perché anche ai dirigenti il rinnovo contrattuale porta un aumento a regime pari al 3,48% della «massa salariale»: tradotto, significa in media poco più di 3mila euro lordi all’anno, cioè circa 232 euro lordi su 13 mensilità. Gli aumenti saranno un po’ più alti negli uffici di Inps o Inail e nelle agenzie, e più bassi negli enti territoriali e nella sanità, in linea con le buste paga indicate nel grafico in pagina.
I veri punti critici
Ma non saranno i soldi a complicare la trattativa. Nell’atto di indirizzo sulle Funzioni centrali, prima di tutto, rispuntano una serie di meccanismi simili a quelli previsti dalla riforma dei dirigenti che avrebbe dovuto attuare la legge Madia, ma è stata colpita da una fredda opposizione della categoria e abbattuta da una sentenza costituzionale. Vanno in questa direzione le indicazioni sugli incarichi, scritte nell’atto di indirizzo con l’obiettivo esplicito di «limitare il ricorso all’outsourcing».
I posti andranno offerti tramite interpelli estesi «a tutte le amministrazioni dell’area», garantendo «la più ampia trasparenza nelle procedure». Un sistema del genere spinge la mobilità all’interno della Pa, perché chiede di aprire le selezioni alla platea più ampia possibile di dirigenti pubblici; ma riduce le chance per chi viene da fuori.
L’intervento, poi, dovrà andare d’accordo con l’articolo 40 del Testo unico del pubblico impiego, che sottrae alla contrattazione la «materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali». Per chi rimane senza incarico, il nuovo contratto dovrà prevedere l’obbligo di partecipare «a un numero determinato di interpelli»: proprio come chiedeva l’inapplicata riforma Madia.
Medici e dirigenti sanitari
In parallelo corre la battaglia su medici e dirigenti sanitari, che deve affrontare anche due problemi sollevati dalla Ragioneria generale. Le risorse messe sul piatto farebbero slittare gli aumenti a regime al 2019, e non dal 1° gennaio 2018 come prevede il quadro normativo; nella base di calcolo, poi, i medici chiedono di inserire l’indennità di esclusività, che il Mef ha chiesto invece di escludere.
Nelle proposte sindacali c’è poi la reintroduzione di vecchi strumenti come la «concertazione»; in questo quadro, i medici chiedono di introdurre per l’attività privata solo norme di garanzia e di evitare criteri che limitino l’intramoenia quando le liste d’attesa si allungano troppo. Un vincolo, quest’ultimo, che sarebbe imposto anche dalla legge nazionale, variamente applicata dalle Regioni.
Nella scuola il nuovo contratto dovrà dare gambe all’allineamento delle buste paga con gli altri dirigenti della Pa, mentre negli enti territoriali dovrà anche ridefinire la sorte dei segretari comunali: saltato il riordino targato Madia con la caduta del decreto sui dirigenti, bisognerà capire come trattare i segretari dei piccoli Comuni («fascia C»), che dirigenti non sono.
Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 7 maggio 2018