Alla fine hanno vinto i sindacati dei medici: i sanitari che non si sono vaccinati contro il Covid ma sono stati riammessi in servizio dal decreto legge con cui il governo Meloni ha anticipato dal 31 dicembre al primo novembre la decadenza dell’obbligo vaccinale per la categoria, resteranno fuori dai reparti con i pazienti più fragili. Ieri mattina, nel corso di una videoconferenza con i direttori generali delle Usl, il dg della Sanità regionale, Luciano Flor, ha annunciato di aver chiesto al Comitato scientifico regionale un parere su una misura voluta per non mettere a repentaglio l’incolumità dei malati immunodepressi e maggiormente esposti al rischio di contrarre l’infezione.
Il Cts è stato interpellato con una circolare firmata dalla dottoressa Francesca Russo, a capo della Prevenzione in Regione, che comunica “le modalità prescrittive imposte ai sanitari non vaccinati e reintegrati in servizio”. I quali “devono mantenere l’obbligo di indossare i dispositivi individuali di protezione, la mascherina Ffp2, osservare le previste norme igienico-sanitarie e rispettare lo screening. Devono onorare queste massime misure di prevenzione e ulteriori provvedimenti che le singole aziende sanitarie, sentiti i medici competenti, potranno adottare nelle zone a rischio”.
Il Comitato tecnico-scientifico, chiamato a esprimersi entro le 16, ha approvato il decalogo dei diktat, compresa la possibilità per le Usl di disporre appunto l’allontamento dei dipendenti no vax dai reparti più delicati. “Parliamo per esempio di Terapia intensiva, Pneumologia, Oncologia, Neonatologia – rivela Carlo Bramezza, direttore generale dell’Usl Pedemontana – sposteremo medici e infermieri altrove. Inoltre devono aspettare che le commissioni Albo dei rispettivi Ordini si riuniscano per decretare l’interruzione della loro sospensione dal lavoro. In queste ore stiamo riammettendo al lavoro operatori sociosanitari e amministrativi, che rappresentano il grosso dei no vax reintegrati”.
Nel Veneto sono 605, di cui solo 12 camici bianchi e 182 infermieri, il resto sono appunto Oss, amministrativi, tecnici, biologi, chimici, farmacisti, fisici, psicologi e veterinari. Tutti reintegrati in servizio. “Reinseriremo camici bianchi e infermieri non immunizzati contro il Covid gradualmente, a seconda dei turni – illustra Giuseppe Dal Ben, dg dell’Azienda ospedaliera di Padova – ma non nei reparti a rischio, come la Oncoematologia pediatrica. Saranno impiegati dove c’è più necessità, cioè nelle aree a maggior carenza di personale. E questo vale anche per gli Oss”.
“Noi abbiamo tredici operatori sociosanitari da ricollocare – aggiunge Callisto Marco Bravi, direttore generale dell’Azienda ospedalierouniversitaria di Verona – così come per gli unici due infermieri non vaccinati, nel riassegnare loro una mansione terremo conto delle indicazioni della Regione. Il governatore Luca Zaia raccomanda la totale protezione dei malati. Non c’è problema, gli Oss possono svolgere servizi al di fuori dei reparti. Quanto ai medici, da noi sono tutti vaccinati”.
Sempre ieri il Consiglio nazionale della Fnomceo, la Federazione degli Ordini dei Medici, ha notificato la direttiva con cui cessa immediatamente la sospensione dall’Albo dei camici bianchi non immunizzati. Ai quali è stata notificata l’operatività della decisione attraverso Pec. “Ora che tutti rientreranno al lavoro mi pare una scelta di buonsenso tenere lontani dai pazienti più fragili i colleghi non vaccinati – commenta Giovanni Leoni, presidente dell’Ordine dei Medici di Venezia e vice nazionale -. È una tutela anche per loro e stempera un po’ la tensione nata con chi ha invece rispettato la legge e per tre anni è rimasto a compiere il proprio dovere pure per gli assenti”. Soddisfazione condivisa dall’Anaao Assomed, la sigla degli ospedalieri che per prima ha chiesto, all’indomani della “sanatoria”: “I medici e gli altri sanitari non vaccinati contro il Covid stiano quanto meno fuori dai reparti con i degenti più a rischio”. “Parliamo pure di Geriatrie, Pronto Soccorso, Malattie infettive – precisa Luca Barutta, segretario regionale -. Il reintegro dei no vax ci lascia perplessi, lascia spazio a contenziosi e crea una confusione comunicativa soprattutto a scapito della gente”.
Anche i primari avevano preso posizione, annunciando di non volere nei loro reparti “soggetti contrari alla scienza e alla medicina ufficiale”. “Credo anch’io che la soluzione adottata dalla Regione sia di buon senso – commenta Giampiero Avruscio, presidente di Anpo Padova, la sigla di categoria -. Oltre all’obbligo di Ffp2 sarebbe bene sottoporre i sanitari no vax a tampone ogni cinque giorni, contro l’intervallo di 20 previsto per noi vaccinati. Sarebbe una garanzia in più per i malati che assistono ma anche per loro stessi, esposti al rischio di contrarre il Covid nelle forme più severe”.
Michela Nicolussi Moro – Il Corriere del Veneto