Il provvedimento più difficile da digerire, una specie di piccola rivoluzione che incrina il mito del posto fisso degli statali, è quello dei tagli all’organico. Ma il decreto sulla spending review, varato ieri dal Consiglio dei ministri e firmato in serata dal presidente della Repubblica, dedica a dipendenti di ministeri ed enti pubblici anche molti altri interventi che difficilmente risulteranno graditi. Intanto, i dipendenti pubblici non potranno più cercare di aumentare lo stipendio facendosi pagare le ferie non godute: nessuno, nemmeno i dirigenti, potrà sostituire il riposo non fatto con un trattamento economico, pena «il recupero delle somme indebitamente erogate» e «responsabilità amministrativa e disciplinare del dirigente responsabile». Il testo del decreto legge – prima parte: la cura dimagrante inizia dalla Pa. La seconda parte
Tutti si vedranno livellare il buono pasto a 7 euro: chi dovesse avere avuto un «aumento» nel tempo vedrà il suo ticket restaurant attestarsi su quella cifra dal 1° di ottobre. Arriva inoltre la «pagella»: saranno individuati criteri per la «valutazione organizzativa e individuale» dei dipendenti. E, sempre in un’ottica di risparmio, le amministrazioni dovranno fare convenzioni col Ministero delle finanze per omogeneizzare il sistema di pagamento degli stipendi risparmiando il 15% sul costo del servizio: oggi, ha rilevato il commissario Enrico Bondi, la disomogeneità contribuisce ad aumentare la spesa pubblica. Fine, inoltre, della pratica per cui chi va in pensione continua a occuparsi dello stesso argomento con un contratto di consulenza: non sarà più permesso.
Ma l’intervento più «invasivo» è senz’altro quello che prevede il taglio del 20 per cento dei dirigenti, sia di prima che di seconda fascia, e del 10% degli altri dipendenti, nei ministeri e negli enti pubblici nazionali. Sforbiciata almeno del 10 per cento anche nelle Forze armate. Per il personale in esubero, due le possibilità: prepensionamento, per chi è a due anni dalla messa in riposo derogando alle nuove regole della riforma Fornero (basterà aver accumulato i requisiti, in vigore prima della riforma, al 31 dicembre 2014) o mobilità. Uscita all’80% dello stipendio base per due anni, poi possibile il licenziamento. Mobilità, licenziamento, parole mai sentite nella pubblica amministrazione: vero, come sottolinea il ministro Patroni Griffi, che già esistevano le norme, ma nessuno s’è mai sognato di applicarle.
La verifica sugli organici sarà fatta entro ottobre: se i tagli fossero lineari, si tratterebbe di un esubero di circa 300 dirigenti e 6-7 mila dipendenti nei ministeri, più altri cinquemila negli altri enti nazionali, ma saranno possibili compensazioni fra ministeri diversi. Esclusi dalla stretta «le strutture del comparto sicurezza e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, il personale amministrativo operante presso gli uffici giudiziari» e il «personale di magistratura».
Sul personale delle Regioni, invece, in alcuni casi mastodontici, il governo non ha la possibilità di intervenire, come allarga le braccia ricordandolo il ministro della Funzione pubblica Patroni Griffi. Il decreto interviene però sugli enti territoriali: si stabilisce di individuare, insieme alla Conferenza stato-città e alle autonomie locali entro il 31 dicembre, «parametri di virtuosità» tenendo conto del rapporto tra dipendenti e popolazione residente. Chi dovesse superarli del 20%, non potrà fare assunzioni «a qualsiasi titolo», mentre chi dovesse sforare del 40% si troverà costretto ad applicare le regole che valgono per l’amministrazione centrale, cioè la regola del meno 10% e meno 20% per i dirigenti. Alle province, visto il processo che si sta inaugurando di tagli e accorpamenti, è fatto ovviamente divieto di assumere personale a tempo indeterminato.
La Stampa – 7 luglio 2012