Claudio Testuzza, Il Sole 24 Ore sanità. Nella recente discussione parlamentare della legge di bilancio per il 2023 era stato introdotto un emendamento che, avendo avuto la “segnalazione” positiva da parte del Governo, sarebbe potuto essere incluso nel provvedimento legislativo, con l’evidente obiettivo di modifica di alcuni parametri per il calcolo pensionistico dei dipendenti pubblici, già iscritti all’Inpdap. Si trattava di annullare, per il calcolo retributivo, l’aliquota di rendimento “quota A” per il calcolo previdenziale a scapito dell’uso generalizzato dell’altra aliquota, “quota B”, propria dei dipendenti del settore privato iscritti all’Inps. La pronta reazione di alcuni sindacati, in particolare del settore sanitario (Cosmed, Anaao, Cisl Medici), ha prodotto una rapida marcia indietro dei proponenti e una cancellazione dell’emendamento in discussione.
Ma perché l’iniziativa sia stata così bruscamente bloccata bisogna valutare l’incidenza nel calcolo pensionistico delle due quote e la loro differenza nel trattamento economico pensionistico.
Le aliquote di rendimento sono parametri utilizzati per il calcolo delle quote A e B di pensione con il sistema retributivo che traducono la busta paga degli ultimi anni di lavoro in pensione. Per ogni anno di lavoro soggetto a contribuzione la regola generale riconosce il 2% della retribuzione pensionabile entro un tetto di 40 anni di contributi. Così ad esempio un lavoratore con 40 anni di contributi ha potuto ottenere, con il calcolo del sistema retributivo, una rendita pensionistica dell’80% della media delle ultime retribuzioni (40 x 2% = 80%), chi avesse lavorato per 30 anni, invece, una pensione pari al 60% delle ultime retribuzioni percepite (30 x 2%=60%). Nello specifico, per i lavoratori iscritti all’assicurazione generale obbligatoria, il calcolo è basata sulla media degli ultimi 5 anni (260 settimane) delle retribuzioni utili percepite dall’interessato.
Per i lavoratori del pubblico impiego iscritti alla Cassa Stato (Ctps) le aliquote sono state in gran parte diverse e più generose rispetto a quelle vigenti nell’assicurazione generale obbligatoria. In particolare i coefficienti di rendimento, per i dipendenti delle amministrazioni statali, risultano individuati dall’articolo 44 del Dpr 1092/1973 che attribuisce un rendimento tondo del 35% della base pensionabile per i primi 15 anni di servizio (ovvero 2,33% per ogni anno di servizio sino al 15° anno) a cui si aggiunge l’1,8% per ogni anno ulteriore di servizio sino al tetto, anche in questo caso, dell’80% della retribuzione pensionabile.
Per gli iscritti alle ex Casse di previdenza amministrate dal Tesoro (CPI, CPS e CPDEL), cioè i dipendenti degli enti locali e del comparto sanità, i vantaggi sono ancora maggiori. Utilizzano per il calcolo previdenziale, infatti, le aliquote di rendimento contenute nella tabella A allegata alla legge n. 965/1965.
La quota A identifica quella parte di pensione, calcolata secondo il sistema retributivo, relativa alle anzianità contributive maturate dal lavoratore sino al 31 dicembre 1992, cioè prima dell’entrata in vigore della Legge Amato (Dlgs 503/1992) con la quale il legislatore ha cambiato le regole di calcolo della pensione retributiva.
Questa Tabella prevede un aliquota di partenza ( piede ) del 23,865% con un’anzianità zero. In pratica nei casi di invalidità, inabilità, premorienza il dipendente, o gli eredi, hanno diritto ad un trattamento pensionistico minimo del 23,865 % dell’ultimo stipendio, anche con un solo giorno di servizio. La tabella, prevede, poi una crescita lenta per i primi anni, raggiungendo il 37,5 % con 15 anni di contribuzione. Con la tabella B dei dipendenti privati saremmo comunque più bassi ( 15 x 2% = 30 % ). Ma si innalza, marcatamente, negli anni successivi arrivando anche ad una percentuale del 4 % per anno negli anni antecedenti i 40 anni di contribuzione. Per garantire, infine, il 100 per cento al traguardo dei 40 anni di contribuzione a fronte dell’80% della tabella B ( 40 x 2% = 80 % ) Peraltro il calcolo, in questo caso, non viene prodotto sulla media delle retribuzioni degli ultimi cinque anni, ma ha come utilizzo, per la base pensionabile, l’ultimo stipendio percepito dal dipendente. Da questi confronti si comprendono le motivazioni che hanno portato i sindacati a opporsi a una così evidente perdita previdenziale.
IL CALCOLO DELLA PENSIONE E’ DETERMINATO DALLA SOMMA DI DUE QUOTE DISTINTE:
• LA QUOTA A
• LA QUOTA B
LA QUOTA A CORRISPONDE AL PRODOTTO FRA LA RETRIBUZIONE ANNUA CONTRIBUTIVA ALLA CESSAZIONE PER IL COEFFICIENTE DELLA TABELLA “A” ALLEGATA ALLA LEGGE 965 DEL 1965 RELATIVO AGLI ANNI ED AI MESI DI ANZIANITA’ AL 31/12/1992.
TALE COEFFICIENTE VARIA DA 0,23865 PER 0 ANNI E 0 MESI A 1,00000 PER 40 ANNI E 0 MESI .
LA QUOTA B E’ DETERMINATA MOLTIPLICANDO LA RETRIBUZIONE MEDIA PENSIONABILE PER L’ALIQUOTA RISULTANTE DALLA DIFFERENZA TRA L’ALIQUOTA CORRISPONDENTE AL SERVIZIO TOTALE E L’ALIQUOTA GIA’ INDIVIDUATA AL 31/12/92 .
LA RETRIBUZIONE MEDIA PENSIONABILE E’ DETERMINATA COME MEDIA DELLE RETRIBUZIONI GODUTE NELL’ULTIMO 50% DEL PERIODO LAVORATIVO PRESTATO DAL 1/1/1993 (CHE DAL 1/1/96 DIVENTA 66,6%) PER COLORO CHE AL 31/12/92 VANTAVANO UN’ANZIANITA’ DI SERVIZIO DI ALMENO 15 ANNI OVVERO SULL’INTERO PERIODO DI SERVIZIO DAL 1/1/93 PER COLORO CHE AL 31/12/92 VANTAVANO UN’ANZIANITA’ DI SERVIZIO INFERIORE AI 15 ANNI.