Governo inflessibile sul pensionamento obbligatorio dei dipendenti pubblici: chi snatura il diritto dovrà essere messo subito a riposo. Obbligati alla pensione i dipendenti pubblici. Nei loro confronti non opera l’incentivo della permanenza al lavoro fino a 70 anni d’età e non opera più neppure la facoltà di rimanere in servizio oltre i limiti d’età per conseguire il massimo della pensione. E non è tutto. Per chi abbia maturato i requisiti nel 2011 (età, quota o anzianità massima), la pubblica amministrazione dovrà procedere con l’immediato collocamento a riposo. E quanto stabilisce, tra l’altro, la circolare n. 2 firmata ieri dal ministro per la Pa Filippo Patroni Griffi per illustrare la riforma delle pensioni entrata in vigore il 1 gennaio introdotta dall’art. 24 del dl n. 201/2011
Nuovi limiti d’età. Innanzitutto, la circolare illustra i nuovi requisiti di età e contribuzione per maturare il diritto alla pensione, nelle due nuove alternative di pensione di vecchiaia e pensione anticipata; ricorda, tra l’altro, l’abrogazione delle finestre che fissavano la decorrenza della pensione e l’estensione del sistema contributivo, con il pro-rata, alle anzianità successive al 2011. Le nuove norme non si applicano, tuttavia, nei confronti dei lavoratori che hanno maturato i requisiti per la pensione entro il 31 dicembre 2011, i quali potranno conseguire la pensione in qualsiasi momento secondo il vecchio regime (ante riforma). Da questa deroga, la circolare fa scaturire un preciso obbligo per le p.a., ossia quello di dover collocare a riposo nel 2012 o negli anni successivi al compimento dei 65 anni quei dipendenti che nel 2011 erano già in possesso della massima anzianità contributiva (40 anni) o della «quota» (era 96) o comunque dei requisiti per la pensione.
Limite d’età ordinamentale. Per i pubblici dipendenti l’aspetto cruciale (forse paradossale) della riforma è che, mentre da una parte allontana l’età di pensionamento dall’altro nega di rimanere più a lungo in servizio quando ciò possa voler dire un miglioramento dell’assegno di pensione. Infatti, la riforma non ha modificato il regime dei limiti di età per la permanenza in servizio che, anzi, è stata espressamente confermato (comma 4 dell’art. 24). Ciò vuol dire, spiega la circolare, che i predetti limiti continuano a costituire il tetto massimo di permanenza in servizio; pertanto, il lavoratore che li dovesse raggiungere potrà proseguire il rapporto d’impiego solo fino a garantirsi la decorrenza della pensione; viceversa, il dipendente già in possesso del diritto alla pensione, una volta raggiunto il limite d’età vedrà la p.a. intimargli la cessazione dell’impiego (è un obbligo per la p.a.).
Stop agli incentivi. Dalla sopravvivenza dei limiti di età ordinamentale, spiega la circolare, discende che nel settore pubblico non opera il principio di incentivazione alla permanenza in servizio fino a 70 anni di età. Si tratta, in particolare, della possibilità di rimanere più a lungo a lavoro al fine di maturare il diritto alla pensione, perché all’età di 70 anni non opera più il requisito dell’ «importo minimo» di pensione (pari a 1,5 volte l’assegno sociale). Dunque, tale opportunità non vale per i pubblici dipendenti e non vale neppure l’altra facoltà, specifica per il settore pubblico, del concetto di «massima anzianità contributiva». In particolare spiega la circolare, l’estensione a tutti i lavoratori, dal 1 gennaio 2012, del criterio contributivo rende inapplicabili le disposizioni che consentivano al personale pubblico di proseguire il servizio sino al raggiungimento della massima anzianità contributiva al fine di conseguire il massimo della pensione (maggiormente interessati, nello specifico, erano i dirigenti civili dello stato e il personale del comparto scuola).
Il periodo transitorio. La riforma, tra l’altro, ha fatto salvi i provvedimenti di collocamento a riposo per raggiunti limiti di età adottati prima del 6 dicembre 2011 (entrata in vigore del dl n. 201/2011). La salvaguardia, spiega la circolare, concerne solo le ipotesi di raggiunti limiti d’età; mentre travolge gli eventuali provvedimenti di pensionamento adottati per altri motivi. In tal caso, pertanto, i dipendenti devono tornare al lavoro salvo che non possano comunque far valere il diritto alla pensione per altre ragioni. La circolare fa riferimento a quegli atti con decorrenza dal 2013 per pensionamento di lavoratori con 40 anni di servizio (e finestra mobile) e che, invece, non raggiungono in quell’anno i 42 anni e 5 mesi se uomini ovvero 41 anni e 5 mesi se donne; oppure ai casi di accettazione, già nel 2011, di dimissioni per il raggiungimento della quota nell’anno 2012 o in anni successivi.
ItaliaOggi – 9 marzo 2012