Tra tanti luoghi comuni, ecco una presa di posizione fuori dal coro sul ilfattoalimentare.it. Che mette al centro dei problemi della mancata procedura di comunicazione immediata del pericolo anche il sistema delle sanzioni e delle penali. Vale la pena di leggerlo
Il recente caso di diossina negli alimenti avvenuto in Germania pone alcuni interrogativi sull’efficacia del sistema di rintracciabilità degli alimenti e dei mangimi europeo (Rasff). Ormai è stato appurato che la contaminazione è stata causata da un produttore di grassi animali e industriali che, per ridurre i costi di produzione ha mischiato grassi animali e industriali vendendo poi la materia prima all’industria mangimistica.
Le aziende hanno quindi preparato a loro insaputa mangimi con grassi contaminati che sono così entrati nella filiera alimentare.
L’altro aspetto inquietante è che la contaminazione sarebbe stata scoperta dall’industria produttrice di grassi nel mese di aprile 2010, ma la comunicazione sarebbe arrivata ufficialmente alle autorità sanitarie solo ai primi di dicembre.
Come mai nel mese di aprile non è stata attivata la procedura prevista dal regolamento CE 178/02 di immediata comunicazione del pericolo? La norma obbliga qualsiasi azienda del circuito alimentare che scopre un problema che possa causare pericolo per la salute umana a segnalarlo immediatamente all’Autorità di controllo ed ai propri acquirenti, in modo da bloccare la diffusione del pericolo. Successivamente in accordo con l’Autorità di controllo può essere obbligata a ritirare il prodotto pericoloso e ad eliminarlo a sue spese.
Per rispondere a questa domanda bisogna fare una riflessione sulle sanzioni e sulle penali in vigore nei diversi paesi europei per fronteggiare questi episodi. In Germania si adotta lo stesso sistema italiano, per cui le sanzioni per non avere avvisato immediatamente le autorità sanitarie pericolo per la salute umana sono solo amministrative.
Se il problema diossina fosse accaduto in Italia (D.lgs 190/05) la sanzione da pagare varierebbe da 2.000 a 12.000 euro, con l’eventuale aggravante dovuta al mancato ritiro del prodotto pericoloso dal mercato, che comporta l’esborso di una seconda multa da 3.000 a 18.000 euro.
Va altresì precisato che seguire le procedure corrette, ovvero comunicare il pericolo alle autorità sanitarie e poi adottare il di ritiro e/o il richiamo immediato del prodotto, comporta spese molto più elevate per l’azienda rispetto alla sanzione. C’è da considerare che nei casi gravi come questo, l’autorità sanitaria blocca o limita la produzione per un certo periodo danneggiando così gravemente il business aziendale. Temendo un provvedimento del genere le imprese irresponsabili tendono a non rispettare la normativa e preferiscono rischiare l’eventuale sanzione quando si viene scoperti.
Il risultato finale è disastroso, perchè la crisi causata da questo comportamento irresponsabile colpisce il settore agricolo con danni rilevanti per tutti gli ignari allevatori che hanno usato il mangime contaminato. Solo in Germania sono state chiuse 4700 aziende agricole che adesso sono state ridotte a 558. Se l’industria produttrice di grassi animali avesse rispettato le norme avvisando per tempo le autorità sanitarie e adottando le misure di intervento previste dal regolamento sulla tracciabilità, il danno sarebbe stato molto limitato e facilmente circoscrivibile.
Alla luce di altri casi analoghi avvenuti negli ultimi anni, forse sarebbe opportuno avviare una riflessione sul sistema sanzionatorio poco idoneo a favorire l’emersione dei casi di pericolo per la salute. Forse bisognerebbe introdurre delle specifiche sanzioni penali per chi non rispetta le norme e cominciare a pensare a un approfondimento europeo sull’efficacia e sul potere deterrente delle sanzioni applicate nei diversi Stati membri.
Luigi Tozzi
Ilfattoalimentare.it
12 gennaio 2011