Inflessibili e tutti d’un pezzo quando c’è da tagliare le pensioni. Accomodanti e inciucioni quando c’è da triplicare le poltrone. Ricordate la cosiddetta riforma della previdenza voluta a tutti i costi qualche mese fa dalla ministra Elsa Fornero? Quel provvedimento che manda tutti in pensione più tardi e con meno soldi e che ha spedito all’inferno centinaia di migliaia di lavoratori, i famosi “esodati” che non hanno più stipendio e non hanno l’assegno previdenziale e chissà quando l’avranno e se l’avranno? Ecco, tra le draconiane decisioni di quella legge c’era anche la soppressione di Enpals, l’ente delle pensioni dei lavoratori dello spettacolo, e Inpdap, dipendenti pubblici. Enpals e Inpdap dovevano confluire nell’Inps che sarebbe diventato il Superinps e così lo Stato avrebbe risparmiato parecchi quattrini perché sarebbero state chiuse centinaia di sedi in tutta Italia.
Non si sarebbero più pagati gli affitti, sarebbero scomparse le spese di gestione degli uffici, le pulizie, la luce, il telefono, il riscaldamento. Una buona idea, forse. A distanza di mesi, però, dell’unificazione Inps-Enpals-Inpdap si è persa ogni traccia. Decine e decine di sedi nazionale e provinciali restano spalancate, gli affitti corrono come prima e con essi tutte le altre spese.
L’UNICA conseguenza concreta di quella perentoria decisione ministeriale è l’aumento del numero dei componenti del collegio dei sindaci Inps: ora sono nove, tre volte più di quelli che dovrebbero essere in base a un altrettanto perentoria legge del 2010, secondo la quale il numero dei sindaci, in origine sette, doveva essere ridotto a tre, appunto. Una norma anche allora ottimisticamente battezzata “taglia spese”, ma rimasta lettera morta, sabotata dagli stessi capi dei ministeri che l’avrebbero dovuta applicare, accantonata con la strabiliante argomentazione che non sarebbe stata sufficientemente “cogente”. All’Inps ogni sindaco costa in media 180 mila euro l’anno e quindi a calcoli fatti, il risparmio atteso dalla soppressione di Enpals e Inpdap, si è trasformato nell’esatto opposto: uno spreco di quattrini, un milione di euro almeno, 180 mila euro moltiplicato per 6, cioè il numero dei revisori in più di quelli fissati dalla legge. A riprova che la strada dei tagli e del rigore è come quella per l’inferno, lastricata di buone intenzioni.
L’OPERAZIONE Superinps, insomma, strada facendo è diventata “operazione super-poltrone” e ora è protetta e circondata da una soffice coltre d’omertà perché sta bene a tutti quelli che comandano nei ministeri. I sindaci dell’istituto previdenziale, infatti, provengono per legge dall’elenco dei dirigenti generali dei dicasteri del Lavoro e del Tesoro e in genere si tratta di professionisti in là con gli anni, inviati all’Inps perché possano maturare i requisiti per la pensione. Far crescere il numero di dirigenti in transito dalle poltrone ministeriali a quelle previdenziali, è un affare per i capi dei ministeri perché così facendo alleggeriscono i bilanci alla voce stipendi dei dirigenti e quindi danno addirittura l’impressione di comportarsi virtuosamente. In più ottengono un altro risultato: dal momento che i soggetti inviati all’Inps figurano come “distacchi”, rimane integra la pianta organica, vero feticcio ministeriale, e le caselle temporaneamente lasciate vuote, pronte ad essere subito ricoperte alla prima occasione buona. Inutile dire che intorno alle poltrone dei sindaci previdenziali prospera un mercato. Tra i beneficiari spiccano due personaggi assai vicini ai precedenti ministri dell’Economia e del Lavoro, Giulio Tremonti e Maurizio Sacconi. La prima è una donna, Adriana Bonanni, la segretaria di Sacconi che avrebbe dovuto seguire la sorte del ministro quando è caduto il governo Berlusconi, cioè riempire gli scatoloni e andare a casa, ma che invece è stata collocata all’Inps come sindaco supplente, con un trattamento mensile sicuro anche se assai meno sontuoso di quello degli effettivi.
L’ALTRO dirigente è Giuseppe Vitaletti, coautore di libri di successo con Tremonti. Per lui l’amico ministro ha fatto ponti d’oro, prima facendolo assumere al ministero dell’Economia senza concorso perché ce n’era bisogno e in tutti gli uffici non si trovava un professionista del suo calibro. E dopo avergli steso questo tappeto rosso, facendogliene srotolare subito un secondo fino alla sicura poltrona di sindaco Inps. Un incarico che durerà fino al 2015, giusto in tempo perché Vitaletti possa prendere serenamente la pensione.
Il Fatto quotidiano – 27 settembre 2012