C’è il medico di base che lascia un intero paese senza assistenza, c’è il camice bianco ospedaliero che sguarnisce un reparto di trincea e l’infermiere che interrompe il lavoro in clinica privata. In piena estate le Regioni stanno arrivando in fondo alle complicate procedure dettate dalla legge sull’obbligo per sospendere il personale sanitario che non si vuole vaccinare. Ovviamente c’è anche chi cambia idea, professionisti che magari hanno tirato la corda il più possibile finché, incassato il provvedimento del loro ordine provinciale, si fanno fare la somministrazione per rientrare subito al lavoro. È successo ad esempio a Milano, ma non soltanto lì.
In tutto il Paese si contano decine o anche centinaia di sospensioni. Potrebbero sembrare tante ma va tenuto sempre presente che solo nella sanità pubblica ci sono circa 600 mila dipendenti, ai quali vanno aggiunti i lavoratori del privato, grande e piccolo, e cioè dalle maxi cliniche del nord agli studi dentistici con due persone. Poi ci sono le Rsa, cioè le residenze per anziani e disabili. E le categorie interessate non sono solo quelle dei medici e degli infermieri perché ci sono anche gli operatori sociosanitari. Si tratta insomma di tantissimi lavoratori che tra l’altro hanno pagato un prezzo importante, soprattutto nelle prime ondate del Covid, alla pandemia. I casi tra di loro sono stati oltre 140 mila, dei quali 1.500 nell’ultimo mese.
I numeri si sono ridotti proprio grazie alla vaccinazione che per questi lavoratori è iniziata a gennaio. Ma non è tanto per convincere queste persone a vaccinarsi che l’obbligo è stato inserito in fretta nel decreto 44, convertito in legge il 28 maggio scorso. L’obiettivo era ed è quello di proteggere le persone fragili che accedono alle strutture sanitarie.
E così in Sardegna nei giorni scorsi sono partite le prime 57 lettere di sospensione. Si tratta solo dell’inizio, visto che nel pubblico sull’isola lavorano 700 operatori non vaccinati. In Veneto la Asl 3 Serenissima ha sospeso 70 persone ma secondo le stime della Regione, che risalgono a cinque giorni fa, sono 4.950 i dipendenti delle Asl scoperti. Tra questi anche pediatri e medici di base. Una di loro, una dottoressa di Cervarese in provincia di Padova, è stata sospesa lasciando senza assistenza 1.300 cittadini, che si sposteranno su altri professionisti. In Liguria per ora le sospensioni sono state 71. In Lombardia si stanno valutando 10 mila posizioni e sono state inviate 2.500 lettere ma è capitato che molti degli operatori interessati abbiano deciso poi di vaccinarsi all’ultimo momento, appunto per evitare la sospensione. Comunque a Milano già circa cinquanta sono stati allontanati. Ad Avellino sono stati messi fuori dai reparti una trentina di operatori. In tutto il Paese, comunque, ci sono casi del genere. A Bolzano il giudice del Lavoro ha da poco respinto i ricorsi di quattro persone sospese senza retribuzione. Altri 68 operatori si sono invece rivolti al Tar.
La procedura per la sospensione è complessa. Appena approvata la legge ogni Regione doveva incrociare i nomi dei vaccinati con quelli dei lavoratori della sanità, comunicati da Asl e strutture private. A quel punto chi non era in regola doveva essere contattato dalla sua Asl di residenza. Chi non forniva giustificazioni o comunque non si vaccinava andava incontro alla sospensione, gestita dall’ordine di appartenenza. «Il meccanismo è farraginoso — commenta Filippo Anelli, presidente della Fnomceo, Federazione nazionale degli ordini dei medici — Lo avevamo detto che la legge non era chiara. Poi la sospensione porta con sé il problema di sguarnire certi reparti, mettendo in difficoltà l’assistenza delle Asl. Comunque devo dire che i medici hanno risposto alla grande, l’intera professione si è confermata un baluardo della scienza. È chiaro poi che tra noi ci sia anche una certa eterogeneità, come nella società stessa. C’è così una piccolissima frangia che non si vaccina e addirittura fa proselitismo contro la vaccinazione. A parte questi casi isolati però i medici hanno risposto bene».
Repubblica