Alessandro Barbera. Mancano ancora tre miliardi di tagli – euro più euro meno – alla definizione della legge di Stabilità per il 2015. Metà della cifra arriverà dalla Sanità. Per trovarli il governo ha a disposizione dieci giorni: il 15 ottobre scade infatti il termine per la presentazione del testo al Parlamento e alla Commissione europea la quale, grazie ai nuovi Trattati, è il giudice supremo delle manovre di politica economica di tutto il Continente. La definizione degli ultimi dettagli dipenderà anche dai contatti informali di queste ore fra Roma e Bruxelles. In teoria il governo potrebbe scegliere di far finta di nulla, ma il rischio è di aprire un fronte pericoloso, troppo pericoloso per un Paese ad alto debito come l’Italia. Le ultime notizie in arrivo da Parigi consigliano prudenza.
La Commissione Barroso, pur dimissionaria, sarebbe intenzionata a sanzionare Parigi per la decisione di non rispettare gli impegni sul deficit e a rispedire al mittente la manovra per il 2015, con la richiesta di riscriverla.
L’Italia ha scelto una linea meno aggressiva della Francia, in ogni caso cammina lungo un filo molto sottile. Dei 20-22 miliardi dell’ammontare complessivo della manovra, circa la metà verrà finanziato in deficit, che nel 2015 raggiungerà il 2,9 per cento invece del 2,2 programmato in precedenza. Per evitare obiezioni da parte di Bruxelles, quella cifra sarà utilizzata per intero per finanziare riduzioni fiscali: la conferma del bonus da 80 euro (circa sette miliardi), del taglio del 10 per cento all’Irap alle imprese (altri due miliardi), altri due miliardi verranno utilizzati per un nuovo intervento per le aziende. Al Tesoro si discutono animatamente tre ipotesi: un taglio ulteriore dell’Irap a favore delle imprese esportatrici, una riduzione dei contributi sociali, lo scorporo dei redditi d’impresa degli artigiani oggi assoggettati a Irpef, che – secondo la delega fiscale – sono destinati alla tassazione Ires. Sempre in ossequio alle regole europee, cambierà la natura del bonus Irpef, che da elargizione si trasformerà in sgravio fiscale: anche in questo caso resta da decidere se intervenire sulla tassazione Irpef, o se invece tramutarlo in una riduzione degli oneri Inps a carico dei lavoratori.
La manovra verrà dunque finanziata per la restante metà, in questo caso per coprire interventi di spesa: per la riforma degli ammortizzatori sociali (da uno a due miliardi), della scuola, per lo sblocco (parziale) del patto di stabilità dei Comuni. Ma non c’è ancora un orientamento preciso su come procedere: quel che succede puntualmente quando ci sono di mezzo i tagli. Padoan è deciso a ottenere risparmi dagli acquisti nella sanità, ma da quell’orecchio non ci sente la ministra Lorenzin. Per ora la voce “risparmi da spese per beni e servizi della pubblica amministrazione” vale un paio di miliardi, al Tesoro puntano a raddoppiare proprio grazie alla sanità. I ministeri dovrebbero contribuire con almeno un miliardo, ma chi può finora ha voltato la testa dall’altra parte, sperando che qualcuno paghi al posto suo. È confermato il taglio e l’accorpamento delle società partecipate dei Comuni, che dovrebbe garantire nel 2015 almeno un altro miliardo di minori spese. L’obiettivo minimo del governo alla voce tagli è sette miliardi, un terzo dell’intera manovra. Ma poiché l’Italia sta già compiendo una forzatura rinviando al 2017 il cosiddetto «pareggio strutturale», la linea prevalente è quella di garantire qualcosa di più. In ogni caso si tratta di numeri molto lontani dai 17 miliardi promessi dal governo Letta, cifra considerata ormai irraggiungibile e – a giudizio del governo – controproducente per l’economia italiana, in recessione per tutto il 2014.
La Stampa – 4 ottobre 2014