Redditi dei professionisti ancora in frenata. Anche se il valore medio dichiarato al Fisco nel 2015 dalle attività professionali con 41.600 euro è risultato essere quello più elevato, almeno rispetto ai servizi e alle manifatture, si registra comunque un calo dell’1,2 per cento. La frenata più brusca è quella dei laboratori di analisi cliniche (-24,8%) seguita da quella degli amministratori di condominio (-10,8%).
In vetta alla classifica dei redditi dichiarati, nonostante un calo di oltre il 5%, restano sempre i notai che hanno denunciato in media all’amministrazione finanziaria oltre 201mila euro. Dottori commercialisti, ragionieri e consulenti del lavoro si attestano sopra la media nazionale con oltre 47mila euro di redditi medi dichiarati. È quanto emerge dalle statistiche fiscali sugli studi di settore, le dichiarazioni fiscali presentate nel 2015 (quindi sull’anno d’imposta 2014) relative alle persone fisiche titolari di partita Iva e le dichiarazioni Iva rese note ieri dal dipartimento delle Finanze.
Dai dati sull’applicazione degli studi di settore emerge che la crisi nel 2014 non ha mollato la presa, tanto che l’Istat l’aveva stimata in una diminuzione del Pil dello 0,3 per cento. I ricavi e i compensi dei 3,614 milioni di imprese e professionisti soggetti agli studi di settore si sono attestati sui 713,7 miliardi di euro con una riduzione del 2,1% rispetto all’anno d’imposta 2013. Il calo maggiore si è registrato nei servizi (-2,9%) seguito dal commercio (-2,5%) e dal settore manifatturiero (-1,1%).
Tornando ai redditi dichiarati emerge una differenza quasi abissale che tra i soggetti congrui e non congrui alle risultanze di Gerico. Se si escludono i soggetti di minori dimensioni, spiegano da via XX settembre, «si passa complessivamente da un reddito medio di 44.560 euro per i soggetti congrui a una perdita media di 730 euro per quelli non congrui». Il reddito totale dichiarato è comunque pari a 101 miliardi di euro e mostra, a differenza dei ricavi/compensi, un andamento positivo (+3,1% rispetto al 2013); il reddito medio dichiarato è stato pari a 25.900 euro per le persone fisiche (+2,2%), a 37mila euro per le società di persone (+4,1%) e a 26.700 euro per le società di capitali ed enti (+12,3%). Sulla base delle percentuali dei dati dichiarati, sempre secondo la nota del Mef, le società di capitali, pur dichiarando la metà del totale dei ricavi/compensi (51%), dichiarano il 16% del totale dei redditi. E questo al contrario delle persone fisiche che, pur dichiarando il 27% dei ricavi o compensi totali, hanno denunciato al Fisco il 61% dei redditi totali.
Ma non ci sono solo gli studi settore. Per quanto riguarda l’Irpef, infatti, l’82,6% dei circa 40,7 milioni di contribuenti Irpef detiene prevalentemente reddito da lavoro dipendente o pensione e solo il 5,9% del totale, in linea con l’anno precedente, ha un reddito prevalente derivante dall’esercizio di attività d’impresa o di lavoro autonomo. La percentuale di coloro che detengono in prevalenza reddito da fabbricati è pari al 4,2 per cento. Il reddito medio da lavoro dipendente è di 20.520 euro (-0,4% rispetto al 2013). Ma c’è una profonda variabilità a seconda della tipologia di datore. I dipendenti con reddito più basso sono quelli alle dipendenze di una persona fisica (9.700 euro), mentre quelli che dichiarano di più sono i dipendenti delle società di capitali (23.630 euro). I dipendenti della pubblica amministrazione arrivano invece a 21.040 euro. Sul fronte lavoratori autonomi circa la metà dichiara compensi per l’attività svolta inferiori a 25.820 euro e solo il 4,1% sopra i 185.920 euro. Si ripropone poi come ogni anno la questione degli imprenditori, intesi come ditte individuali senza dipendenti e non come società: categoria in cui il 49% dichiara un reddito d’impresa inferiore a 15mila euro e solo lo 0,6% un reddito sopra i 150mila euro.
A proposito di società, invece, sono state 83.500 le Sas e le Snc (società di persone) a sfruttare l’aiuto alla crescita economica (Ace) nella dichiarazione 2015 per una deduzione di 1,5 miliardi (+37, 7% sul 2013). Più di 14mila società non hanno potuto utilizzare interamente la deduzione per una cifra pari a 352 milioni.
Il Sole 24 Ore – 1 giugno 2016