E ora preoccupiamoci pure di Deltacron, l’ultimo grido in fatto di varianti. Lo hanno scovato a Cipro, sabato scorso, grazie al dottor Leondios Kostrikis, che guida il team di scienziati che lavorano presso il laboratorio di biotecnologia e virologia molecolare dell’Università dell’isola. Già il nome che gli hanno dato è evocativo di un brutto mostriciattolo, una sorta di dr Frankenstein, metà Delta, metà Omicron. E va da sé che se prendesse la letalità del primo, e la contagiosità del secondo, saremmo tutti in guai seri.
Per il momento, la scoperta cipriota è all’esame della comunità scientifica. Il dottor Kostrikis ne ha dato notizia all’istituto Pasteur di Parigi, che tiene d’occhio tutte le varianti che vengono alla luce sul pianeta, al quotidiano locale Cyprus Times e all’agenzia internazionale Bloomberg. Ovviamente mezz’ora dopo era una celebrità planetaria. Il nome sicuramente è azzeccato. E c’è chi fa dell’ironia. Nino Cartabellotta, della fondazione Gimbe, ad esempio: «Perché Deltacron e non Omelta?».
Nessun allerta europeo
La notizia di Deltacron ha ovviamente messo in allarme non solo i giornali e le opinioni pubbliche, ma anche le autorità sanitarie d’Europa. Cipro è a un passo da tutti noi. Per il momento, però, nessun allarme è stato diramato dalla Rete sanitaria europea. Il che non vuol dire che la cosa sia caduta nel nulla. Al contrario. La storia della variante Omicron, che fu scoperta pochissime settimane fa in Sudafrica, racconta che la pandemia può avere impressionanti accelerazioni in ogni momento.
Molti i dubbi
Ci sono però molte perplessità sulla scoperta cipriota. Il dottor Tom Peacock, virologo all’Imperial College di Londra, ha scritto su Twitter che a suo parere la variante Deltacron «sembra essere chiaramente una contaminazione. I veri ricombinanti tendono ad apparire solo poche settimane o mesi dopo che c’è stata una sostanziale co-circolazione». E secondo Giorgio Gilestro, professore di Neurobiologia anche lui all’Imperial College, sarà difficile che Deltacron possa scalzare Omicron: «Una variante ricombinante Delta/Omicron – ha scritto – si è quasi sicuramente già formata da qualche parte, ma il fatto che si formi non basta: deve essere anche più performante di Omicron per diffondersi e questo è molto difficile. Per nulla scontato». In pratica, non ci sono precedenti di virus che si fondino uno nell’altro dopo un periodo così ristretto di co-circolazione.
Anche un illustre virologo greco, il dottor Gkikas Magiorkinis dell’Università di Atene, è scettico: «Le prime analisi indipendenti mostrano che si tratta di un errore tecnico del laboratorio nel processo di lettura del genoma». Si torna cioè all’ipotesi di una contaminazione tra campioni in laboratorio.
Il dilagare delle varianti
Vere o presunte che siano, l’incubo delle varianti incombe. Dapprima la Delta ha mostrato una contagiosità e una letalità maggiori della Alfa. Poi è arrivata Omicron. E al momento le due varianti circolano alla pari. «Mi preoccupa – dice Walter Ricciardi, professore ordinario di Igiene all’Università Cattolica e consulente del ministro Speranza – la combinazione tra Delta e Omicron, che produrrà un gennaio catastrofico con una fortissima pressione sugli ospedali. Non prevedo un lockdown, ma una serie di misure restrittive».
Altre varianti accertate sono poi all’attenzione dell’Organizzazione mondiale di Sanità. Una è Lambda, che fu identificata in Perù e dall’estate scorsa è molto presente in Sudamerica. «Gamma» fu sequenziata in Brasile. Un’altra è Mu, trovata in Colombia. Poi c’è Ihu, che proverrebbe dal Camerun, e che però è stata isolata a Marsiglia: è ancora sotto osservazione e al pari di altre varianti viene monitorata dall’Oms. —
La Stampa