«Intendevamo dare un segnale di forte innovazione e l’abbiamo dato. Anche le cancellerie europee stanno guardando con grande interesse a quello che stiamo facendo». Graziano Delrio è un po’ il motore del riformismo di Renzi. Funziona così: il premier lancia la palla lontano e a lui, come sottosegretario di Palazzo Chigi, tocca ricorrerla e metterla in rete. Dai proclami alle realizzazioni, però, non sempre tutto fila liscio. Sottosegretario, gli annunci sono tanti, tantissimi. Spesso vanno nella direzione giusta. Male leggi per ora sono pochine…
Non direi. Tra decreti, disegni di legge e provvedimenti attuativi abbiamo già fatto molto. In alcuni casi siamo arrivati al traguardo, in altri siamo alla fase decisiva. Abbiamo finalizzato il riordino degli enti locali, con il superamento delle attuali province, abbiamo trovato l’intesa e portato in Parlamento la riforma elettorale dopo anni di discussioni, eppoi il progetto del nuovo Titolo V e del Senato. Sui temi più strettamente economici abbiamo approvato l’importante decreto sul lavoro, che il Parlamento sta finalizzando in questi giorni, e abbiamo messo i famosi 80 euro in busta paga a 10 milioni di italiani.
Resta, però, una distanza tra gli impegni e le realizzazioni. Anche nella tempistica. La riforma della Pa annunciata per aprile è di fatto slittata a giugno.
Intendevamo dare velocità e concretezza all’azione di governo e l’abbiamo fatto. Ora tutti si sono appassionati al dibattito su una settimana in più o una in meno. Ma il Paese si è messo in moto. C’è più ottimismo. Certo, non mancano le difficoltà, e stare dietro a un presidente del Consiglio come Matteo Renzi non è facile, ma abbiamo impostato il lavoro in modo corretto.
Tra le difficoltà c’è quella di un Parlamento che non è proprio quello che avreste sognato. A cominciare dai gruppi del Pd, che a volte sembrano all’opposizione.
C’è stata una dialettica, certamente, come è normale che sia. Macredochefinora sia stata positiva. Non si può accusare il Parlamento di aver rallentato più di tanto. Sul lavoro è stata fatta una mediazione, maalla fine il risultato è ottimo. Le riforme cambiano equilibri, minano interessi ed eliminano privilegi. È normale che ci sia una tensione. Ma io ho trovato più resistenze fuori dal Parlamento, nelle corporazioni, nei gruppi di interesse, nelle lobby. Queste resistenze mi preoccupano francamente di più.
La Cgil proprio oggi ha criticato la soluzione finale sul decreto lavoro…
Confermo che la soluzione mi pare buona.
Quando parla di resistenze fa riferimento anche ai dirigenti pubblici? La riforma della Pa ha sollevato proteste e rivendicazioni già ai primi annunci.
Certamente, tutti devono partecipare al cambiamento. Noi non vogliamo smantellare lo Stato, ma renderlo più efficiente e amico del cittadino. Abbiamo avviato quello che abbiamo annunciato da tempo. Sono cose di cui si discute da non so quanti anni. Ci sono regolamenti del ’99 ancora da attuare. Sull’Economist c’era un bell’editoriale sulla crisi della democrazia che si può combattere soprattutto dimostrando che c’è spazio per una sfera pubblica efficiente che sappia rispondere alle domande dei cittadini e delle imprese. Andremo fino in fondo, non ci faremo condizionare.
Intanto sugli stipendi avete rinunciato a imporre i tetti intermedi che avrebbero inciso duramente sui dirigenti.
Il nostro obiettivo è combattere i privilegi, non le persone, perciò abbiamo ritenuto di limitarci al tetto massimo della retribuzione del capo dello Stato. Un dirigente medico italiano nonguadagna più di un suo collega inglese. Mentre alcune alte cariche erano davvero fuori proporzione. Non siamo ossessionati dal tema del denaro. Il problema non è fare tagli e togliere salario. Mapiuttosto di legare i salari alla produttività. Per questo la retribuzione sarà fatta anche da un premio che dipenderà dall’andamento del Pil. Dobbiamo parlarne con Regioni ed Enti locali. Ma questo vogliamo farlo. A palazzo Chigi, intanto, faremo anche una riduzione per fasce molto rigorosa.
Sul sito di Palazzo Chigi, però, non ci sono ancora indicati incarichi eretribuzioni dei nuovi arrivati…
Stiamo facendo una riorganizzazione e dei tagli profondi. Appena è pronto il decreto pubblichiamo tutto.
Fare le riforme e incidere sui privilegi comporta qualche rischio. Va letta anche così la sonora bocciatura fatta dai tecnici del Senato sul decreto per il bonus fiscale?
Direi di no, ma non condivido quelle obiezioni.
Si parla di un rischio costituzionalità per l’aumento del prelievo sulle quote della Banca d’Italia.
Siamo convinti che quella sia stata una scelta giusta sia da un punto di vista politico che tecnico.
Anche sulle coperture non sono mancate critiche: troppe una tantum e ancora
54 anni, è sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. È stato sindaco di Reggio Emilia e ministro nel Governo di Enrico Letta pochi tagli di spesa.
Ogni provvedimento deve avere il veicolo che merita. Un intervento strutturale sul fisco si fa con la legge di stabilità. Con un decreto non si fa una copertura triennale.
Così però la legge di stabilità parte con una zavorra di 10 miliardi da trovare, a meno che non si voglia rinunciare al bonus per i prossimi anni.
L’osservazione è legittima. Ma noi contiamo molto sul denominatore, cioè sulla crescita. Le stime che abbiamo fatto sono molto prudenziali, ma riteniamo che per effetto dei provvedimenti adottati, dalla Sabatini al pagamento dei debiti Pa, dal rilancio dei consumi al decreto sul lavoro, il Pil crescerà più di quanto crediamo, liberando nuove risorse. Senza contare che intanto anche i tagli di spesa andranno a regime.
Sui tagli di spesa però eravate partiti con baldanza, poi avete fatto scelte molto più limitate…
Per fare tagli di spesa significativi e strutturali devi agire con unavisione strategica. Nella sanità, nei trasporti, puoi fare veri risparmi se avvii trasformazioni che portano efficienze di scala. Non basta concentrarsi a togliere un milione qui e uno lì. È un processo complesso.
Farete l’accorpamento delle cinque scuole della pubblica amministrazione?
Assolutamente sì. Da anni studiamo queste cose, si faranno. Così come si farà l’accorpamento degli enti di ricerca. Aspettiamo poi le proposte degli enti intermedi: le camere di commercio, per esempio, hanno già presentato un piano che va nella giusta direzione.
Sul tavolo ci sono anche oltre 400 provvedimenti attuativi che avete ricevuto in eredità e che sono ancora da adottare…
È un tema su cui stiamo lavorandomolto. Abbiamo varato decreti importanti, come quello che ha reso operativa la nuova Sabatini. E posso anticiparle che entro dieci giorni vedranno la luce anche quelli sui minibond, sull’allargamento del fondo di garanzia perle Pmi esul credito di imposta. A giugno poi toccherà alle semplificazioni in materia di sicurezza del lavoro e handicap. Tutte norme molto attese dalle imprese.
Alcuni di quei provvedimenti sono per la firma al Mef, come procede la collaborazione con il ministero dell’Economia?
Con Padoan stiamo collaborando molto bene. Certo all’Economia hanno un gran lavoro da fare. La spinta che arriva dal presidente del Consiglio è notevole, bisogna stargli dietro…
Intanto sul fronte più strettamente politico la riforma del Senato continua a produrre fibrillazioni. Quale versione del testo arriverà in Commissione?
È un processo in itinere ogni ora. Il testo base dovrebbe essere quello del governo. Nessuno vuole fare melina. Ma non è importante una settimana in più o in meno. Tanto più che siamo ormai alla vigilia delle elezioni europee.
Parliamo del voto europeo. Sul risultato del Pd il governo si gioca molto della sua credibilità. C’è una quota 30% che segnerà per voi la vittoria o la sconfitta?
Il Pd, che è al governo con il suo segretario, può certamente correre il pericolo di pagare un prezzo. Io dico che se riuscissimo a fare un paio di punti in più rispetto al 25% che prendemmo nelle precedenti elezioni sarebbe un successo. Certo, superare il 30 significherebbe avere un grande mandato degli elettori sulle riforme che abbiamo impostato.
Se Grillo superasse Berlusconi ci sarebbe un impatto negativo sulla tenuta dell’accordo per le riforme?
No. Sarebbe strano piuttosto se Grillo rimanesse dietro. Alle elezioni dell’anno scorso eravamo tutti lì, testa a testa. Poi Forza Italia ha subito una scissione. Perciò sarebbe naturale che fosse indietro. Casomai il problema sarebbe se Grillo superasse il Pd. Ma non accadrà.
Carlo De Benedetti ha pronosticato il voto in autunno. Ha buone fonti?
Chiedete a lui. Noi ci auguriamo e crediamo di poter continuare la nostra azione riformista.
Ma se non vi fanno fare le riforme?
Noi non vogliamo tergiversare. Abbiamo avuto il mandato di fare le riforme. Nel momento in cui non ci fossero le condizioni per farlo, sarebbe giusto dare la parola agli elettori, che potranno così giudicare chi vuole fermare le riforme.
Il Sole 24 Ore – 4 maggio 2014