Tagliare la spesa, alzare le tasse, fare deficit. Le tre strade canoniche per finanziare ogni tipo di manovra stanno per diventare un pacchetto obbligato per il governo Meloni alle prese con la sempre più complicata copertura della prossima legge di Bilancio. Al punto che l’entità stessa della seconda finanziaria dell’esecutivo di destra rischia di essere ridimensionata. Difficile replicare i 35 miliardi dell’anno scorso. Si guarda a traguardi più alla portata, tra 20 e 30 miliardi.
Tasse e condoni, dunque. Si rispolverano vecchi e nuovi balzelli. Plastic e sugar tax (insieme valgono 650 milioni), sospese per anni, sono in vigore dal primo gennaio se il governo non le cancella. L’anno scorso erano state annunciate e poi ritirate, ora tornano in auge: la tassa sulla fortuna, ovvero sulle vincite ai giochi, e la tassa “Amazon” sulle consegne a domicilio per favorire il commercio di vicinato. La tassa al15% sulle multinazionali: entrerà in vigore dal primo gennaio. La tassa sugli extraprofitti delle banche: 1-2 miliardi. Gli introiti del concordato preventivo biennale – anche qui 1-2 miliardi – la misura della delega fiscale che sarà attuata per prima, a detta del viceministro all’Economia Maurizio Leo, perché non costa all’erario, anzi rende: Stato e imprese o professionisti si accordano sulle tasse da pagare nel biennio successivo. E infine sullo sfondo un nuovo condono, anche nella forma di “voluntary disclosure”, sconti sulle tasse per capitali che emergono, dall’estero o dalle cassette di sicurezza (il governo nega, ma qualcosa si studia).
Il fronte della spesa da tagliare, la spending review, è altrettanto caldo. I 300 milioni di risparmi dei ministeri potrebbero salire anche qui a 1-2 miliardi. La premier Meloni ha chiesto, nel vertice politico di fine agosto, una ricognizione a tutti i dicasteri per individuare i fondi non spesi o stanziati per misure di altri governi non in sintonia con la lineadi questo esecutivo. In aggiunta, il viceministro Maurizio Leo, ha già detto che «un miliardo» verrà dal taglio ai bonus fiscali, le detrazioni di cui si avvantaggiano famiglie e imprese. Poi c’è l’indicizzazione delle pensioni all’inflazione, già tagliata lo scorso anno: l’operazione potrebbe essere replicata, con l’obiettivo di portare a casa 1-2 miliardi.
E infine il deficit. Il tesoretto di 4 miliardi, messo “da parte” nel Def di aprile dal governo per la manovra d’autunno, non c’è più perché nel 2024 l’Italia crescerà meno del previsto, come conferma da ultimo anche l’Ocse. L’intenzione però del governo è di non scendere sottol’1-1,2% di crescita, dal roseo e ormai archiviato +1,5%. E alzare un po’ il deficit, due decimi, al 3,9% così da restare sotto la soglia di allarme del 4% e trattare con l’Europa il “mini” scostamento (anche questo di 4 miliardi).
In totale, col pacchetto “spese- tasse-deficit” si potrebbe arrivare a coprire una manovrina da 20 miliardi, di cui 14 solo per il taglio dell’Irpef e quello del cuneo, quest’ultimo confermato solo per un anno così da finanziarlo anche con le entrate una tantum. Per una manovra da 30 miliardi bisogna affondare la mano molto di più.
La Repubblica