La settimana prossima dovrebbe finire il commissariamento decennale della sanità del Lazio. Una notizia centrale per le dinamiche regionali, certo, ma significativa per il quadro nazionale della sanità: che nel suo complesso dovrebbe vedere il deficit ridursi a 710 milioni, cioè a poco più di un decimo rispetto al 2006.
La fine del commissariamento della sanità laziale dovrebbe arrivare sui tavoli del Consiglio dei ministri venerdì prossimo, dopo l’ultima riunione del tavolo tecnico in programma per mercoledì. Gli ultimi numeri dovrebbero certificare l’azzeramento sostanziale del disavanzo, e restituire alla regione le chiavi della sanità, con il superamento del blocco del turn over e la ripresa della gestione autonoma. Ancora da decidere, però, è la sorte delle super-aliquote, cioè le addizionali sull’Irap e sull’Irpef che hanno aiutato parecchio nella strada per l’uscita dal tunnel: il disavanzo ripianato è una svolta sostanziale, ma la macchina rimane debole e rischia di inciampare senza il sostegno fiscale aggiuntivo. Bisogna distinguere, poi, fra Irap e Irpef: la prima è interamente collegata alla sanità, e in prospettiva potrebbe quindi essere ripensata per alleggerire un po’ il carico fiscale record che pesa sulle imprese della regione, mentre il tassello aggiuntivo dell’addizionale sui redditi è collegata anche al ripiano in 30 anni dell’anticipazione statale da 10 miliardi ricevuta dal Lazio nel 2013 per pagare i vecchi debiti commerciali. Soprattutto per quest’ultima, quindi, l’addio alla super-aliquota sembra lontano. Le decisioni sono materia delle prossime ore, mentre per metà dicembre dovrebbe arrivare (finalmente) anche il bollino della Corte dei conti sull’ultimo rendiconto.
L’addio al commissariamento è ovviamente destinato a infiammare il dibattito politico in vista delle elezioni regionali di primavera. Su un piano sostanziale, però, è più interessante guardare i numeri, che danno la misura delle vite parallele vissute dalla sanità laziale e nazionale. Vite rese parallele anche dai maxi-deficit passati della regione.
Il fenomeno è evidente se si torna al 2006, alla vigilia degli allarmi sul rosso della sanità nazionale che hanno prodotto le regole su piani di rientro e commissariamenti accompagnati dalla cura fiscale. Quell’anno è stato chiuso dalla sanità italiana con un disavanzo complessivo da 6 miliardi e 13 milioni, per il 33% concentrato a Roma e dintorni. Il debutto del castigo fiscale per i territori con ospedali e Asl in perdita ha coinvolto all’inizio cinque regioni (Abruzzo, Molise, Campania e Calabria, oltre appunto al Lazio), ma i piani di rientro senza il coté delle addizionali si sono allargati poi anche alla Puglia, alla Sicilia e, a nord, al Piemonte. A conti fatti, il risultato ha invertito la rotta: nel 2010 il rosso nazionale era sceso a tre miliardi, e quello del Lazio a un miliardo con il solito rapporto uno a tre. Ecco perché il pareggio nel bilancio sanitario raggiunto dalla regione è una (buona) notizia nazionale. E indica che la dinamica del fondo sanitario, accompagnata dallo stop alle assunzioni e dalla camicia di forza alle spese, ha funzionato sul fronte dei risultati annuali.
Tutto bene, quindi? Piano, perché la via verso la salute finanziaria è ancora lunga, e deve superare un grosso ostacolo. Che si chiama debito. Il passivo della sanità, spiega la Corte dei conti, viaggia a 25 miliardi, e con i suoi 10 miliardi il Lazio resta protagonista. Come accaduto al debito pubblico nazionale, anche per il passivo sanitario (nazionale e del Lazio) la montagna non cresce più. Ma ora va gestita.
Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 26 novembre 2017