Padoan: pareggio al 2016. Il governo taglierà le tasse per i lavoratori dipendenti che prendono fino a 1.500 euro netti, per dare loro fino a 80 euro in più al mese. Lo sgravio partirà da maggio e riguarderà anche chi guadagna meno di 8 mila euro l’anno (incapienti). Raddoppia al 26% l’imposta sulle plusvalenze delle quote possedute dalle banche in Bankitalia. L’imposta era stata decisa con il decreto del governo di Enrico Letta che ridisegnava l’azionariato di via Nazionale. I manager pubblici non potranno guadagnare più del presidente della Repubblica. E cioè non potranno prendere più di 239 mila euro. Dalle privatizzazioni il governo intende incassare dal 2014 e per i prossimi tre anni lo 0,7% del Pil. Tra le società coinvolte, Eni, StMicroelectronics, Enav, Sace, Fincantieri, Cdp Reti, Tag, Grandi Stazioni. La bozza del Def
«Voi dicevate che non avremmo trovato le coperture…». E invece Matteo Renzi sorride ai giornalisti, al termine del Consiglio dei ministri, comunicando che il Def è stato approvato, che per quest’anno le coperture strutturali ammontano a 6,7 miliardi, che «per prudenza» la stima del Pil 2014 è stata abbassata allo 0,8%. Stima che «spero sarà smentita in positivo».
Il premier presenta il Documento di economia e finanza, un provvedimento che contiene stime «serie», ovvero attendibili, al contrario di altre occasioni, rimarca. Gli è accanto il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan: la crescita allo 0,8% la definisce «ragionevole», mentre il deficit, in rapporto al prodotto interno lordo, resterà fermo al 2,6%. Numeri che verranno inviati a Bruxelles, che preludono al decreto legge che il governo varerà prima di Pasqua, il 18 aprile. In quel decreto sarà contenuta «una 14esima» per coloro guadagnano meno di 25 mila euro (i circa 80 euro in più in busta paga): «E non è demagogia elettorale, ma giustizia sociale, con questa operazione comincia a pagare che non l’ha mai fatto e a riscuotere chi non ha mai riscosso», riassume il premier. Dei 6,7 miliardi necessari a coprire la manovra nel 2014 «2,2 miliardi arriveranno dall’aumento del gettito Iva e dall’aumento della tassazione sulla rivalutazione delle quote Bankitalia, quindi saranno le banche a concorrere in questo sforzo, mentre 4,5 miliardi arriveranno dalla spending». In tutto a regime il taglio del cuneo fiscale sarà di dieci miliardi.
Fra chi «in questi anni ha preso troppo» ci sono i manager pubblici, «ora non potranno prendere più di quanto prende il presidente della Repubblica, 239.000 euro è più che sufficiente, in questi anni si è totalmente sforato», aggiunge Renzi, che fornisce anche una stima dei risparmi. «Facciamo una stretta molto significativa, tra i 350 ed i 400 milioni, una bella cifra, ma conta anche il valore simbolico».
«L’Italia ce la può fare. Non è vero il ritornello: non ce la faremo mai, siamo condannati al declino», continua il capo del governo, mentre Padoan fornisce le cifre macroeconomiche contenute nel documento: il debito pubblico salirà quest’anno al 134,9% del Pil considerando anche i sostegni al fondo salva Stati, al 131,1% senza considerare questi impegni. Previsioni per gli anni a venire: 133,3% nel 2015, 129,8% nel 2016, 125,1% nel 2017, 120,5% nel 2018. Capitolo privatizzazioni: ammonteranno a circa 12 miliardi per il 2014 da utilizzare per ridurre il debito pubblico. Cifre simili anche nel 2015, 2016 e 2017. Il disavanzo strutturale invece sarà azzerato, almeno contabilmente, solo nel 2016. (Marco Galluzzo)
DIRIGENTI Stipendi legati al Pil Tetto di 239 mila euro
Nessuno più su del Colle. Il tetto agli stipendi dei dirigenti della pubblica amministrazione e per i manager della società pubbliche, ad eccezione di quelle quotate in Borsa come Eni ed Enel, sarà pari a quello del presidente della Repubblica: 239.181 euro lordi l’anno. Il limite riguarderà la retribuzione complessiva, sia la parte fissa sia quella variabile. E l’asticella potrà essere fissata ad un livello più basso a seconda delle responsabilità del dirigente o della dimensione dell’azienda guidata dal manager. Ma la vera novità sta nel fatto che una parte dello stipendio, il 10% ha ipotizzato Matteo Renzi, sarà legato all’andamento economico generale del Paese. E quindi pagato se il Pil, il prodotto interno lordo, avrà il segno più davanti, trattenuto in caso contrario. Un meccanismo simile a quello delle stock option, usato nelle aziende private. «Non è possibile — dice il presidente del Consiglio — che un manager prenda un premio massimo se il Paese va a rotoli».
Le nuove regole saranno applicate a partire dai nuovi dirigenti della presidenza del Consiglio, visto che proprio ieri sono scaduti i 23 capi dipartimento di Palazzo Chigi «ereditati» dal governo Letta e sono in arrivo le nuove nomine, insieme alla riduzione delle posizioni di vertice. A seguire il tetto verrà applicato a tutte le altre amministrazioni.
Dall’operazione sul tetto a dirigenti e manager il governo punta a ricavare una somma compresa fra i 350 e i 400 milioni di euro. Ci sono però dei dirigenti sui quali il governo non può intervenire, quelli degli organi costituzionali e cioè Camera, Senato, Corte Costituzionale e presidenza della Repubblica. Nel rispetto del principio dell’autonomia sono gli stessi organi a stabilire le regole che valgono al loro interno. «Spero che anche loro accettino l’equiparazione allo stipendio del presidente della Repubblica» dice Renzi, riferendosi in particolare ai segretari generali di Camera e Senato. Nei giorni scorsi il governo aveva incontrato i vertici amministrativi del Parlamento che si erano detti disponibili ad uno sforzo ulteriore nel segno della spending review.
Sulle quote Bankitalia tassa al 26%, come sulle rendite
Aumenterà l’imposta sulle plus-valenze delle quote Bankitalia rivalutate. Con una sola mossa il premier Matteo Renzi ottiene il miliardo che gli mancava per coprire il taglio del cuneo fiscale da 6,7 miliardi e spiazza il Movimento Cinquestelle, che contro quella rivalutazione, definita «un regalo alle banche», aveva spinto la propria protesta al massimo della conflittualità.
L’imposta era stata decisa con il decreto del governo Letta che ridisegnava l’azionariato di via Nazionale. Inizialmente la tassazione era prevista al 16% ma dopo le proteste arrivò al 12%. Gettito atteso: circa 1,2 miliardi. Ora il governo Renzi vorrebbe aumentare quell’imposta, secondo alcune indiscrezioni, addirittura raddoppiarla tra il 24 e il 26%, portando l’incasso a 2,4 miliardi, una parte dei quali utili per la copertura del taglio del cuneo. Che sarà così composta: 4,5 miliardi dalla revisione della spesa pubblica (spending review), 1,2 dall’aumento del maggior gettito dell’Iva derivante dal pagamento di nuovi debiti della P.a. e un miliardo dall’aumento al 26% della tassazione sulle quote Bankitalia. «Se (la maggiorazione, ndr) fosse confermata, sarebbe ingiusta e illogica» ha commentato il direttore generale dell’Abi (l’associazione delle banche) Giovanni Sabatini, aggiungendo che si tratta di un’ipotesi «assolutamente inaspettata».
Ma sulle coperture ci sono altre due notizie. La prima: l’operazione di pagamento dei debiti della pubblica amministrazione che Renzi aveva quantificato per il 2014 in 68 miliardi da liquidare «in un colpo solo», è da 13 miliardi. Si capisce cioè che ai 68 miliardi ci si avvicina aggiungendo 13 miliardi di nuovi pagamenti ai 47 già predisposti dal governo Letta, 27 dei quali sono stati pagati nel 2013, mentre altri 20 si prevedeva venissero pagati entro giugno 2013. Nel 2014 dunque i miliardi pagati potranno essere complessivamente 33 (20+13). Il gettito Iva atteso, 1,2 miliardi, sembra riferito solo ai 13 aggiunti dal governo Renzi.
La seconda notizia riguarda la spending review: i risparmi previsti nel 2014 ammontano a massimo 6 miliardi, 4,5 dei quali andranno a coprire il minor cuneo fiscale. Il Documento di economia e finanza riepiloga in 13 voci i settori interessati confermando tra questi Sanità, Forze di polizia, Difesa, Autorità indipendenti e Camere di commercio. Quanto ai trasferimenti al trasporto ferroviario, «si potranno anche valutare». Antonella Baccaro
FAMIGLIE Bonus esteso ai redditi sotto 8 mila euro lordi
L’operazione «quattordicesima», come l’ha chiamata lo stesso Matteo Renzi, si dovrebbe allargare anche agli incapienti, le persone che non pagano le tasse perché restano al di sotto della soglia minima di 8 mila euro lordi l’anno.
Nel Def, il documento di economia e finanza approvato ieri in consiglio dei ministri, si parla solo dell’aumento delle detrazioni Irpef per chi guadagna meno di 25 mila euro lordi l’anno (circa 1.500 euro netti al mese). È il famoso taglio delle tasse che dovrebbe portare fino ad 80 euro netti in più nelle buste paga di lavoratori dipendenti ed assimilati, come i co.co.co., a partire dallo stipendio di maggio. Così l’operazione lascerebbe fuori proprio gli incapienti che, non pagando le tasse, dall’aumento delle detrazioni non avrebbero alcun vantaggio. Ma è lo stesso Renzi a dire che nel decreto legge che il governo dovrebbe approvare il 18 aprile ci sarà un intervento a favore di questa categoria.
Ci sono due problemi, però. Il primo è trovare nuove risorse, quasi un miliardo di euro, visto che il numero delle persone coinvolte salirebbe da 10 a 14 milioni. A meno che non si decida di spalmare in modo diverso i fondi già trovati per l’aumento delle detrazioni Irpef, lasciando fisso solo lo sconto massimo di 80 euro. Il secondo problema è tecnico. Il bonus per gli incapienti potrebbe essere anticipato dal datore di lavoro che poi lo recupererebbe a sua volta sotto forma di credito d’imposta. Ma restano in piedi anche l’ipotesi del taglio dei contributi Inps, comunque versati anche da chi è nella no tax area, o del contributo diretto pagato sempre dall’Inps. Nello stesso decreto su Irpef e incapienti ci sarà lo sconto dell’Irap per le imprese: del 5% quest’anno e poi, si legge nel Def, di «almeno il 10%» a partire dall’anno prossimo. L’operazione sarà finanziata con l’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie (Bot esclusi) che dal primo luglio di quest’anno dovrebbe passare dal 20 al 26% . Lorenzo Salvia
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Corriere della Sera – 9 aprile 2014