I nodi su privatizzazioni, Catasto e aggiustamento strutturale spingono più in là il varo del Def, che dovrebbe slittare a martedì e quindi oltre la scadenza di lunedì prossimo, 10 aprile. Insieme al Def, a meno di ulteriori inciampi, sono attesi sul tavolo del consiglio dei ministri anche la manovrina correttiva e il decreto sugli enti locali, che dovrebbe aumentare il turn over nei Comuni e offrire qualche aiuto finanziario alle Province.
In un primo tempo, in realtà, si era ipotizzato anche di chiudere il dossier questa settimana, in un’operazione in due tempi che avrebbe visto la manovrina in rampa di lancio la settimana successiva, ma così non sarà.
Dietro a questi smottamenti nel calendario c’è un doppio braccio di ferro, ingaggiato suo malgrado dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan: quello con la maggioranza, Pd in primis, che continua a frenare su privatizzazioni e riforma del Catasto, cioè su due “piatti forti” che via XX Settembre ha intenzione di inserire nel Def e nel programma nazionale di riforma per spiegare l’irrobustimento della crescita attesa; e quello con Bruxelles sugli obiettivi di deficit da indicare nelle Linee guida sui conti 2018, in una strategia che punta a ottenere nuova flessibilità e portare verso quota 1,8%-2% il target sul deficit strutturale oggi fissato all’1,2 per cento. Un obiettivo giudicato da Roma troppo “ambizioso”, soprattutto per una manovra che avrà fra i suoi primi compiti quello di bloccare ancora una volta le maxi-clausola di salvaguardia con gli aumenti Iva da 19,5 miliardi. Superato questo macigno, bisognerà trovare anche le risorse che mancano per il rinnovo dei contratti nel pubblico impiego (1,2 miliardi), le «coperture credibili» evocate martedì da Padoan per il taglio al costo del lavoro, su cui a Palazzo Chigi è già stata confezionata una proposta (si veda Il Sole 24 Ore di ieri) che punta sulla decontribuzione strutturale per i primi tre anni di attività degli under 35.
La coperta però rimane stretta, perché l’obiettivo a medio termine del pareggio di bilancio strutturale, ora indicato al 2019 dopo plurimi slittamenti e prima o poi l’aggiustamento andrà fatto; a imporlo è anche l’obbligo di riduzione del debito, che vede l’Italia sul filo della procedura d’infrazione mentre torna a scaldarsi il dibattito sulle privatizzazioni. Proprio per questa ragione all’Economia non possono “rinunciare” agli 8,5 miliardi di entrate dalle dismissioni previste lo scorso anno e già rimandate per le difficoltà sui mercati (e nelle stanze della politica). Un piccolo aiuto nel far quadrare i conti dovrebbe arrivare anche da stime di crescita superiori all’1% (l’asticella 2017 dovrebbe attestarsi all’1,1%): «I primi segnali sono incoraggianti», ha rilanciato ieri Padoan.
La prima mossa di avvicinamento verso l’indebitamento netto indicato da Bruxelles tocca comunque alla manovrina, attesa a questo punto insieme al Def per la prossima settimana: per il via libera è essenziale il «sì» europeo all’estensione dello split payment alle società pubbliche, che di stima in stima è cresciuto fino a “promettere” entrate per 1,3-1,4 miliardi. Il disco verde da Bruxelles è atteso da giorni, ma non è ancora ufficialmente arrivato.
Da qui dovrebbe arrivare infatti il grosso dello sforzo, accompagnato dai tagli della spesa dei ministeri che però non potrà superare gli 8-900 milioni negli otto mesi ancora a disposizione quest’anno senza impattare negativamente sulla dinamica della crescita.
Il capitolo fiscale è poi limitato al mini-intervento (200 milioni circa) sulle accise dei tabacchi, dopo la rinuncia a quelle sulla benzina; possibile poi una prima mossa, molto parziale, sul riordino delle 444 forme di sconto fiscale oggi in vigore, in un’operazione che sarà rilanciata dal Pnr.
Il Sole 24 Ore – 6 aprile 2017