Prima il «pasticcio», o «l’avvertimento», poi la correzione. Il decreto salva Roma, con le norme necessarie a chiudere il Bilancio del Campidoglio e a evitare il default, vive un’altra giornata complicata dopo le polemiche a cavallo del Natale. Bocciato in commissione al Senato, viene poi «salvato» dall’Aula.
Succede tutto in brevissimo tempo, a metà pomeriggio. In commissione Affari costituzionali la votazione sul provvedimento finisce 9 a 9, e il pareggio conta come voto a sfavore. Mancano, secondo le opposizioni, i «presupposti di costituzionalità». A menare le danze, soprattutto, la Lega Nord, il Movimento Cinque Stelle e Forza Italia. Secondo il capogruppo in commissione del Carroccio Patrizia Bisinella «il provvedimento è palesemente anticostituzionale: mancano i presupposti d’urgenza e contiene un decreto mai convertito che quindi non può essere reiterato, il salva Roma appunto». Contrari anche i «grillini»: «Il nuovo salva Roma — dice Giovanni Endrizzi di M5S — ha insanabili lacune, come l’eterogeneità di materia e le parti di articoli contenuti nel precedente decreto decaduto». Anna Maria Berini (Fi) aggiunge: «Il contenuto del decreto è la rappresentazione del perché siamo usciti dalla maggioranza. Non è solo un’incompiuta ma anche un abuso politico e costituzionale».
A loro, però, si associano (oltre ai berlusconiani) anche pezzi del centrosinistra. Loredana De Petris, di Sel, non partecipa al voto: in Parlamento l’esponente vendoliana è all’opposizione, ma il decreto consente alla giunta capitolina di Ignazio Marino, della quale anche Sel fa parte, di chiudere la manovra 2013, «spalmando» sulla gestione commissariale quasi 600 milioni di euro di debiti. E, all’atto decisivo, mancano anche due esponenti del Pd: uno è il capogruppo al Senato Luigi Zanda, l’altro è Luciano Pizzetti. Il primo è assente, come molti suoi colleghi (in commissione, in tutto, ci sono 28 membri), l’altro un minuto prima c’era, quello dopo era sparito. «Ero al telefono, non avevo capito che si doveva votare…», si è poi giustificato Pizzetti.
Miguel Gotor, anche lui Pd, si affretta a spiegare: «È stato un incidente meramente tecnico e privo di ogni rilievo politico. Due senatori di maggioranza si trovavano fuori dall’Aula al momento delle votazioni, perché la seduta della commissione Affari costituzionali di oggi è stata particolarmente impegnativa: abbiamo affrontato la discussione con il ministro Del Rio sull’abolizione delle Province e l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Naturalmente questo incidente è stato strumentalizzato dalle opposizioni, in particolare dalla Lega. Lo stanno cavalcando con la consueta propaganda ma sarà una cavalcata breve. L’Aula è sovrana e l’incidente potrà dirsi chiuso». In effetti, già un’ora e mezza dopo, i «presupposti di costituzionalità» del salva Roma vengono approvati al Senato: in 159 votano contro la decisione della commissione, 111 a favore. Ostacolo superato, anche se con qualche strascico. Intanto perché è l’ennesimo problema che si crea sulla conversione del decreto, che il premier Enrico Letta decise di ritirare alla vigilia di Natale, dopo un colloquio col capo dello Stato Giorgio Napolitano e dopo che il provvedimento — nato appunto per i conti della Capitale — era stato riempito dagli interventi più disparati, che con Roma non avevano nulla a che vedere.
E poi perché, secondo un esponente del centrodestra, «questo è una sorta di avvertimento al sindaco Marino». Non è un mistero, infatti, che tra il primo cittadino e i partiti che lo sostengono (Pd e Sel, appunto, sono i principali) siano ai ferri corti, tra polemiche, accuse incrociate, problemi con le nomine e richieste di rimpasto di giunta. E la vicenda di ieri del salva Roma potrebbe, allora, essere letta come un nuovo campanello d’allarme. Secondo Umberto Marroni, deputato Pd, «i nemici della Capitale hanno colpito ancora. Mentre il governo e il presidente Napolitano hanno correttamente posto il problema di rendere snella la decretazione d’urgenza, al Senato sono venuti fuori i veri motivi dell’avversità a questo decreto, quello di un sentimento anti Capitale».
Andrea Augello, senatore di Ncd, la interpreta in un altro modo: «Il problema è che oggi Roma è debole. Con la Lega e i Cinque Stelle, basta qualche franco tiratore del centrosinistra che ce l’ha con Marino per far saltare il banco». Il decreto, comunque, va avanti. Fino al prossimo «agguato».
Ernesto Menicucci – Corriere della Sera – 9 gennaio 2014