Le novità nel nuovo decreto Lavoro
Aumentano da due a tre le finestre per il pensionamento anticipato dei cosiddetti lavoratori «precoci» e corrisponderanno a quelle già previste per l’Ape sociale (31 marzo, 15 luglio e 30 novembre). Questa è la principale novità in materia previdenziale in arrivo nel decreto Lavoro. Non cambia nulla, invece, per Opzione donna: il governo ha infatti deciso di non introdurre l’allentamento dei requisiti per l’accesso introdotti dall’ultima legge di bilancio. Il testo del decreto però modifica il meccanismo che regola le «ricongiunzioni»: allineando il tasso di rendimento annuo previsto sui contributi a quello riconosciuto dal sistema contributivo (media quinquennale del Pil) e non ancorato all’attuale 4,5%. Infine, proroga di altri due anni per i «contratti di espansione», che permettono di andare in pensione anticipatamente per i lavoratori di imprese con almeno 50 dipendenti. Vediamo allora di capire meglio cosa cambia o non cambia nell’universo pensionistico con il nuovo decreto.
Pensioni, le tre finestre per uscire in anticipo
Come detto, la principale novità riguarda i «lavoratori precoci», ovvero coloro che
possono accedere nel 2023 al pensionamento mediante Quota 41 perché hanno iniziato a lavorare prima dei 19 anni (con almeno 12 mesi di contribuzione, anche in modo non continuativo) e sono iscritti a una forma di previdenza obbligatoria da prima del 1° gennaio 1996. Inoltre, il richiedente deve essere in una delle seguenti situazioni: essere in stato di disoccupazione; assistere e convivere, al momento della richiesta e da almeno sei mesi, il coniuge o un parente affine di primo o secondo grado con handicap in situazione di gravità; avere una riduzione della capacità lavorativa; essere lavoratore o lavoratrice dipendente addetto alle cosiddette attività gravose e che svolgere tali attività da almeno sette anni negli ultimi dieci o da almeno sei anni negli ultimi sette prima del pensionamento; oppure svolgere lavori usuranti.
La richiesta di pensionamento con 41 anni di contributi (indipendentemente dunque dall’anzianità anagrafica) quest’anno potrà essere presentata in corrispondenza delle tre finestre previste per l’Ape sociale: 31 marzo, 15 luglio e (massimo) 30 novembre
Riviste le sanzioni per chi non ha versato i contributi
Nella bozza del decreto compare anche un alleggerimento delle sanzioni massime per i datori di lavoro che non hanno versato i contributi. Questo però solo per le cifre fino a 10 mila euro. Se prima la multa andava dai 10 mila ai 50 mila euro, ora si ridurrebbe per il tetto massimo, passando da un minimo di una volta e mezzo l’importo non versato fino a un massimo di quattro volte (dunque, per un mancato versamento di massimo 10 mila euro la sanzione non sarà inferiore ai 15 mila né superiore ai 40 mila euro).
Opzione donna: non cambia nulla
Non dovrebbe cambiare nulla per Opzione donna, che nell’ultima legge di Bilancio aveva subito una stretta: l’anticipo pensionistico rimane a 60 anni e 35 anni di contributi, ma l’età di uscita è riducibile di un anno per ogni figlio e nel limite massimo di due anni. La misura è prevista però solo per tre categorie di lavoratrici: caregiver, invalide almeno al 74% e licenziate o dipendenti da aziende in crisi. Salvo novità dell’ultimo momento – la battaglia dell’opposizione vede il Pd che chiede di eliminare i vincoli legati ai figli – nessun allargamento della platea è confermato. Resta quindi, nonostante le polemiche di tutti questi mesi e le critiche di Bankitalia, la variabile figli per avere uno ‘sconto’ sull’età d’uscita dal lavoro. Il requisito anagrafico fissato a 60 anni, secondo quanto previsto dal testo, può infatti scendere per le tre categorie di lavoratrici a 59 se si ha un figlio e a 58 se se ne hanno almeno due.
Rinnovo di due anni per il Contratto di espansione
Infine, il «contratto di espansione», che guadagna altri due anni di vita. La norma, già prorogata fino alla fine del 2023 dalla legge di Bilancio 2022, viene così portata al 2025 per accompagnare all’uscita volontaria dal lavoro, previo accordo tra azienda e sindacati, i dipendenti fino a 5 anni prima dei normali requisiti della pensione di vecchiaia (67 anni) o di quella anticipata (42 anni e 10 mesi, che scendono a 41 e 10 mesi per le lavoratrici). Nato come sperimentazione per il biennio 2019-2020, il contratto prevede che il lavoratore (di un’azienda con almeno 50 dipendenti) che aderisce all’accordo percepisca una pensione pari a quella maturata al momento dell’uscita. Il costo dell’assegno mensile, per tutta la durata dell’anticipo, è a carico dell’azienda, al netto del valore della Naspi spettante a chi va in prepensionamento. Il contratto di espansione può essere firmato dai dipendenti con meno di 60 mesi dal decorrere della pensione, sia quella di vecchiaia (avendo maturato il requisito minimo contributivo pari a 20 anni e il requisito dell’importo soglia previsto per i soggetti privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995), che quella anticipata. La pensione che poi riceveranno sarà cumulabile con qualsiasi reddito da altra attività lavorativa.
Un’altra novità riguarda le aziende con più di mille dipendenti. A loro è concessa la pianificazione delle uscite per un arco di tempo più ampio, con l’obiettivo di favorire il turn over: all’uscita dei dipendenti più anziani corrisponde l’impegno ad assumere nuovi e giovani lavoratori.
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