Le somme saranno tirate soltanto a ridosso della presentazione del Def di aprile; e probabilmente dopo un confronto politico all’interno delle forze di maggioranza. Ma l’istruttoria tecnica sul dossier “riduzione costo del lavoro” va avanti; e tra le ipotesi sotto la lente della cabina di regia economica di palazzo Chigi e del Mef in queste ore ad essere monitorata con una certa attenzione è quella che prevede una decontribuzione più o meno piena, stile Jobs act, a favore del primo impiego, da affiancare, per gli under35, a una dote formazione portabile per agevolare nuovi inserimenti occupazionali nei casi di carriere discontinue. Lo sgravio (senza penalizzare le future pensioni) potrebbe durare tre anni (come il primo anno di vigenza dell’incentivo Renzi-Poletti); ma molto dipenderà dalle risorse disponibili, che influenzeranno pure la percentuale dell’agevolazione (totale, oppure ridotta).
Non del tutto esclusa, per ora, è l’ipotesi (alternativa) di un taglio strutturale del cuneo su tutto il lavoro stabile, vecchi e nuovi assunti.
Del resto a far capire che il Def prima, e la manovra 2018 poi, dovranno guardare allo sviluppo è stato nuovamente ieri, il premier Paolo Gentiloni, che dopo l’incontro in mattinata con le Regioni ha ribadito la necessità di mettere in campo un quadro di politiche economiche «che ci consenta di mantenere gli equilibri di bilancio e di razionalizzazione della spesa, e contemporaneamente accompagni e sostenga la crescita, che per quanto limitata inizia a manifestarsi». Anche perché, «norme e vincoli Ue non sono intoccabili, c’è margine di negoziato», ha aggiunto il capo del governo, ricordando le tre priorità dell’agenda sviluppo: «Lavoro, infrastrutture, investimenti».
Nell’ottica del governo, la decisione di varare la manovrina a stretto giro dopo il Def serve a far uscire il decreto dal recinto stretto della correzione da 3,4 miliardi chiesta dall’Europa per trasformarlo nel primo passo dell’attuazione delle strategie disegnate dal Def. A questo obiettivo servono le misure pro-investimenti a cui i tecnici stanno lavorando per costruire un capitolo “sviluppo” della manovrina (come anticipato sul Sole 24 Ore di sabato) rilanciando il pacchetto «finanza per la crescita» che in manovra ha prodotto norme come quelle sui piani individuali di risparmio: di questo fronte potrebbe far parte una norma «acchiappa fondi», basata sull’idea di tassare come capital gain al 26% e non come reddito da lavoro al 43% i proventi dei manager delle sgr, misure per accelerare gli investimenti Anas sulla rete stradale locale e una rivisitazione del direct lending per il credito alle imprese. Sempre in fatto di credito, ma con l’obiettivo principale di aiutare la gestione degli Npl delle banche, il governo lavora a una serie di correttivi procedurali sulle cartolarizzazioni, tema su cui è in corso il confronto con l’Europa anche per prorogare la scadenza (ora fissata ad agosto) sulle garanzie pubbliche Gacs per tranche senior. In questo campo rientrerebbero misure senza costi per la finanza pubblica ma finalizzate a migliorare le condizioni per gli investimenti: favorire la crescita, rilancia il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visto, «non è un problema di soldi ma di miglioramento delle condizioni di contesto», per aiutare le imprese a superare gli ostacoli «all’innovazione e agli investimenti».
Il decreto potrebbe poi essere l’occasione giusta per lanciare lo stanziamento, intorno al miliardo di euro, per affrontare la ricostruzione post-sisma: risorse, va detto, che rientrerebbero fra le spese «eccezionali» e quindi non inciderebbero sulla correzione strutturale chiesta da Bruxelles.
Dovrebbe invece entrare nel Def il ripristino nei premi di produttività della decontribuzione a favore delle imprese. Oggi le norme prevedono un tetto di 3mila euro per i premi di risultato che beneficiano della detassazione al 10% (si sale a 4mila euro in caso di coinvolgimento dei lavoratori) per redditi fino a 80mila euro. I benefici sono però limitati ai lavoratori, mentre l’idea dell’esecutivo è di estendere il vantaggio anche ai datori, che potrebbero così beneficiare di una decontribuzione ad hoc. Anche qui c’è da fare i conti con il nodo risorse: se la reintroduzione della decontribuzione per le imprese sui premi di risultato non sarà troppo onerosa, la misura potrebbe anche trovare spazio nella manovrina. Se la spesa è eccessiva, invece, verrebbe posticipata alla legge di bilancio 2018.
Il Sole 24 Ore – 28 marzo 2017