«Strozzati dallo Stato, ma salviamo le imprese». Fornitori delle Usl di tutto il Veneto preparatevi: da domani inizieranno ad arrivare sui conti correnti delle vostre società (o cooperative) i soldi che aspettavate dal 2001.
Una montagna di euro freschi e liquidi, un miliardo e quattrocento milioni per la precisione, che daranno ossigeno alle vostre imprese e che vi permetteranno di ritirare la cassa integrazione dei vostri dipendenti, di ripartire con gli investimenti e forse perfino di assumere per ampliare i servizi.
La Regione Veneto – giunta e consiglio – ha fatto una sorta di miracolo: in meno di due settimane ha approvato prima a palazzo Balbi e poi a palazzo Ferro Fini la cosiddetta legge paga-debiti e ha quindi accettato il prestito del governo di 777 milioni per il 2013 e di 633 milioni per il 2014 con il quale potrà saldare i debiti arretrati. E non preoccupatevi per le date. Anche se dire «da domani» è un po’ una forzatura per facilitare il compito dei titolisti – il governatore Luca Zaia firmerà le condizioni del prestito al ministero dell’Economia il 7 agosto e quindi le procedure di pagamento delle Usl inizieranno da giovedì prossimo e dureranno fino a dicembre del prossimo anno – va riconosicuto il merito agli assessori e ai consiglieri di essere stati i prima in Italia ad aver deciso di avvalersi del decreto salva-debiti del governo. E non è stata una decisione facile. Perché le casse di palazzo Balbi hanno, ironia della sorte, proprio un miliardo e quattrocento milioni bloccati dal Patto di stabilità e a molti rodeva non poco l’idea di dover contrarre un prestito – e quindi pagare un sacco di in interessi bancari – quando i soldi ci sarebbero tutti. «È stato un ricatto imposto da Roma», sbotta l’uomo dei conti della giunta regionale, l’assessore al Bilancio Roberto Ciambetti. Un vero e proprio boccone amaro che costerà alla Regione Veneto 45 milioni di euro di interessi bancari per i prossimi 30 anni, «ma che non potevamo certo rifiutare – continua Ciambetti – perché capiamo l’urgenza di immettere liquidità nel tessuto economico della nostra regione». Il fatto di avere i soldi in tasca e non poterli usare per estinguere i debiti della sanità veneta a causa del Patto di stabilità però non ha fatto ribollire il sangue solo ai leghisti. Tutto l’arco del parlamentino ieri si è infiammato e il salto dai debiti delle Usl al (mancato) referendum sull’indipendenza è stato quasi un passo naturale nel dibattito in consiglio. «È evidente che i nostri parlamentari a Roma non contano nulla», è esploso il capogruppo del Carroccio Federico Caner a cui ha fatto subito eco l’ex leghista Sandro Sandri convinto che lo «Stato si comporta da cravattaro nei confronti del Veneto». Il tasso di interesse al 4% su un miliardo e quattrocento milioni si tradurrà infatti per i prossimi trent’anni in tagli al sociale dei Comuni per 18 milioni all’anno e in tagli alle famiglie, agli asili nido e alle scuole paritarie per altri 27 milioni (così si raggiungono i 45 che servono a pagare gli interessi annuali del debito). «Xe inutile far i primi dela classe, i primi a tagiar i servisi e i primi a far sempre a figura dei mona», è intervenuto Giovanni Furlanetto, in protesta anche con la lingua italiana. Nemmeno i venetisti più spinti come Mariangelo Foggiato di Unione Nord Est però se la sono sentita di fare una questione di principio di fronte alla possibilità di saldare i debiti alle imprese. «A un affamato non possiamo promettere un lauto pranzo tra un mese», dice il venetista. Insomma: in attesa dell’indipendenza e delle autonomie che non arrivano (come stanno ripetendo in tutte le salse tutte le commissioni di giuristi, avvocati, legulei e chi più ne ha più ne metta dal 1992 a oggi) con un salto nel realismo, i consiglieri veneti hanno deciso di mettersi via i sogni di gloria futura e hanno portato a casa la pagnotta per oggi e domani.
«Il Veneto è stato danneggiato da Roma ma non si poteva fare altro», sospira il presidente della commissione statuto Carlo Alberto Tesserin (Pdl) convinto, come il collega Leo Padrin «che era una scelta che non si poteva rinviare». E il voto finale? Tanti nasi tappati, alcune astensioni (tra cui quella del Pd che per bocca di Claudio Sinigalia ha fatto sapere «che non può essere il sociale a pagare il dazio») e pochi volti soddisfatti. Nemmeno quello di Zaia che però ha voluto ringraziare pubblicamente i consiglieri per «la velocità e l’impegno messo in campo per assicurare i pagamenti».
Alessio Antonini – Corriere del Veneto – 1 agosto 2013