Francesco Semprini. Negli Stati Uniti rischia di arrivare entro la fine dell’anno una stangata su olio d’oliva, formaggi e vini italiani. L’Ufficio del rappresentante al commercio americano (Ustr) ha appena pubblicato una «lista nera» del valore di 4 miliardi di dollari di prodotti provenienti dall’Unione europea da “tartassare” come ritorsione per la disputa tra i colossi aerospaziali Airbus e Boeing. E che si aggiunge a quella di 33 pagine da 21 miliardi di dollari compilata già ad aprile. La genesi del braccio di ferro tra le due sponde dell’Atlantico è nei sussidi che Bruxelles avrebbe concesso ad Airbus, causando un danno concorrenziale di 11 miliardi di dollari all’anno per l’americana Boeing, secondo le stime del governo a stelle e strisce. L’organizzazione mondiale del commercio (Wto) ha riconosciuto il dolo dell’Europa ed è atteso entro la fine dell’estate un suo pronunciamento sull’entità delle misure punitive che gli Usa potranno applicare.
A farne le spese sarà il made in Italy di qualità. Se nell’ultima lista ad essere colpiti sono, fra gli altri, formaggi (parmigiano e provolone inclusi), pasta, olive, salsicce, prosciutti, nella lista di aprile si prendono di mira vino e, soprattutto, olio d’oliva, con dazi che – recita il documento del Ustr – potrebbero arrivare sino al 100% del valore del prodotto. «Questo vuol dire che il costo del prodotto raddoppierebbe per il consumatore» spiega a La Stampa Marco de Ceglie, amministratore delegato Nordamerica di Filippo Berio, icona dell’olio d’oliva italiano, e membro del board della North America Olive Oil Association (Nooa). «Si tratta di una catastrofe – prosegue – anche nel caso il dazio sia solo del 20% le ricadute sarebbero pesanti, potrebbero innescare meccanismi irreversibili in termini di danni». Un duro colpo per l’Italia dopo che il vicepremier Matteo Salvini, nella sua visita in Usa, si era adoperato per mettere il Paese al riparo da misure sanzionatorie.
Il mercato Usa non ha reali alternative alla produzione europea di olio d’oliva visto che questa rappresenta il 70% della produzione annua mondiale, con provenienza in particolare da Italia e Spagna, e in seconda battuta da Grecia e Portogallo. In America si consumano 300 mila tonnellate di prodotto ogni anno e gli Usa da soli ne producono appena 10 mila. Questo significa che ci sarebbe uno spostamento irreversibile su altri prodotti e Paesi con conseguenze su dieta e salute degli americani. «C’è una consapevolezza in Italia e in Europa pari a zero, non vi è stata informazione», avverte de Ceglie, promotore di un’iniziativa volta a rafforzare l’immagine dell’olio d’oliva in Usa chiamata Standard of identity e rilanciata durante la North America Olive Oil Conference organizzata in coincidenza del Summer Fancy Food di New York. E durante cui Joseph Profaci, direttore esecutivo del Nooa, ha lanciato la campagna «non tassate la salute», una petizione di raccolta firme per cancellare l’olio d’oliva dalla lista nera dei dazi. «La dieta mediterranea – dice – per la quale l’olio d’oliva è una componente principale, è dimostrato, che consentirà agli Usa di risparmiare 20 miliardi di dollari in trattamenti per molti disturbi: malattie cardiache, cancro, diabete e demenza».—
La Stampa