Fanno riflettere i dati sul tasso di sindacalizzazione dei pensionati, elaborati per la prima volta dall’Inps la settimana scorsa. Viene fuori che quasi la metà dei pensionati sono iscritti a una sigla sindacale. Per la precisione, 7.135.859 su 15.778.000 (45,23%). Un livello molto alto, caratteristico dei sindacati italiani.
Del resto Cgil, Cisl e Uil messe assieme dichiarano più di 5 milioni e mezzo di iscritti pensionati su un totale di tesserati di 11,5 milioni. Una così alta presenza di anziani ha probabilmente a che fare con i canali “istituzionali” che facilitano nel nostro Paese l’iscrizione dei pensionati al sindacato e soprattutto che ne garantiscono il tesseramento a vita, salvo revoca.
La gran parte delle iscrizioni passano infatti per i patronati che si occupano di sbrigare le pratiche per la pensione sia dei lavoratori dipendenti sia di quelli autonomi e che assistono il pensionati in tutti i rapporti con l’ente di previdenza. Come ricorda l’Inps, l’iscrizione avviene «dietro presentazione di un’autorizzazione espressa e sottoscritta dal pensionato» a effettuare la trattenuta mensile sulla pensione a favore del sindacato (o associazione di categoria) indicato. Ma poi «le trattenute vengono effettuate fino a revoca scritta dell’interessato».
In questo senso colpisce che il tasso di sindacalizzazione aumenti con l’aumentare dell’età dei pensionati. Così mentre sotto i 65 anni di età gli iscritti sono solo il 35%, sopra i 79 anni si sale al 53%: probabilmente si tratta anche di quelli che sono da più lungo tempo tesserati e magari hanno dimenticato di esserlo (anche se i sindacati ribattono che la trattenuta è evidenziata nel cedolino della pensione e dunque questo rischio non ci sarebbe).
Interessante anche il fatto che i tassi maggiore di sindacalizzazione si addensino sui pensionati che prendono assegni fino a 1.500 euro netti al mese per poi calare drasticamente sui pensionati più ricchi. Così come è significativo che, passando alle categorie, la sindacalizzazione massima si abbia tra i «coltivatori diretti e assimilati» con il 75% contro il 53% dei lavoratori dipendenti, il 56% degli artigiani e il 52% dei commercianti. Insomma, dove maggiore è i potere di intermediazione burocratica del sindacato (e in agricoltura è massimo) più le sigle raccolgono iscritti.
Sarebbe ora auspicabile che l’Istat di Tito Boeri, che ha fatto della trasparenza una delle sue priorità, divulgasse, per gli stessi pensionati, il numero di iscritti a ciascuna sigla sindacale. Così si potrebbero confrontare questi dati, certi, con i tesserati dichiarati da ogni sindacato. Esercizio che potrebbe riservare non poche sorprese, in particolare per quanto riguarda le sigle del sindacalismo autonomo e dell’Ugl.
Il tutto in attesa di conoscere al più presto i dati sugli iscritti tra i lavoratori dipendenti che ora la stessa Inps raccoglierà sulla base della convenzione sottoscritta lunedì scorso da Boeri con i segretari di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo e del direttore generale di Confindustria, Marcella Panucci. E anche qui potrebbero esserci sorprese.
Corriere Economia – 23 marzo 2015