Michele Bocci, Repubblica. Per capire quello che sta succedendo basta un colpo d’occhio quando si entra in farmacia. Pannolini e ciucci, creme e bagnoschiuma non sono più i prodotti maggiormente in vista. Con i medicinali da tempo relegati dietro al bancone, a spiccare su tutto il resto sono le confezioni colorate di vitamine, sali minerali, fermenti lattici.
“Una ricarica per l’inverno”, “Per rinforzare le ossa”, “Per sentirsi meno stanchi”: spesso sui cartellini dei prezzi, anche 18 euro per 24 bustine, sono scritti suggerimenti per l’utilizzo, così non c’è nemmeno bisogno di chiedere consigli. Il nuovo business dell’industria farmaceutica sono gli integratori. Zero sperimentazioni per essere messi in commercio, margini contenuti per i rivenditori e una domanda che continua a salire. Così i fatturati non sentono crisi, anzi crescono a ritmi vertiginosi, cioè almeno del 6 o 7% all’anno. Nel 2015 gli italiani hanno speso quasi 2 miliardi e 700 mila euro, cioè oltre il 25% in più di appena quattro anni fa. Il tutto mentre il farmaco resta a guardare. Quello dispensato su prescrizione, rimborsato o meno dal sistema sanitario, non vede più crescita da tempo, tanti sono i sistemi di controllo per evitare sprechi e inappropriatezze. E allora i grandi gruppi farmaceutici italiani come Menarini, Angelini, Zambon, ma anche le multinazionali straniere e pure la Nestlé si sono buttati ormai da tempo sugli integratori. La spinta arriva anche dalla sempre più diffusa passione degli italiani per diete vegetariane, macrobiotiche e vegane che spesso richiedono l’introduzione di sali minerali o proteine come supporto. È nata pure la nutraceutica, per abbinare farmaceutica e nutrizione. Si basa su alimenti speciali per chi ha problemi di salute, ma anche su integratori in capsule come acidi grassi polinsaturi. Se a tutto questo si aggiunge che i medici non fanno più uscire un paziente dal loro studio senza aver prima scritto su un foglio il nome di un integratore, il gioco è fatto.
E con gli affari cresce anche il numero dei prodotti in vendita. Sono addirittura 8mila le cosiddette “referenze”, cioè i vari tipi di confezioni anche dello stesso prodotto sul mercato, contro le 3mila di medicine. A questi ritmi ci avviamo a diventare come gli Usa, dove gli integratori sono usati in modo massiccio. «L’importante è che non passi l’idea che tanto non fanno male e quindi si possono dare a tutti », dice Emilio Maestri, consulente per la farmaceutica dell’Emilia. Una ricerca svolta proprio negli Stati Uniti e pubblicata sul New England journal of medicine nell’ottobre 2015 ha rivelato come gli eventi avversi legati a vari tipi di integratori abbiano causato 23mila accessi e 2.100 ricoveri all’anno in 63 pronti soccorso. «Sono vari gli studi andati male — aggiunge Maestri — Adesso stiamo valutando l’utilizzo della vitamina D contro l’osteoporosi. Ma non arriviamo ai risultati attesi, se non in persone con fortissime carenze».
I 164 produttori che hanno praticamente tutto il giro d’affare in Italia sono riuniti nella Federsalus, presieduta da Marco Fiorani di Angelini. Per lui, gli integratori sono utilizzati per mantenersi sani: «I consumatori sono sempre più attenti all’alimentazione, agli stili e alla qualità della vita. Entrano in farmacia per piccoli disturbi di salute, per dormire bene, superare stress e affaticamento e trovano i nostri prodotti, che servono a gestire il benessere e a ridurre il rischio di alcune patologie ». A giudicare da quanto e come spendono, gli italiani li considerano efficaci.
Repubblica – 4 febbraio 2016