Un viaggio e un libro unici, che lasciano senza parole perché la forza delle immagini è di quelle che vale più di un discorso e di un’invettiva politica, più di tanti inutili editoriali di saccenti giornalisti economico-finanziari, più di analisi teoriche accademiche, più di pompose prese di posizione dell’ineffabile Onu. La fame nel modo ha bisogno di forti scosse e il libro del fotografo free-lance americano Peter Manzel le sa dare le scosse. Ma attenzione: il libro e le foto non sono l’ennesimo intervento sulla fame nel mondo perché dalla carrellata veloce che diamo con le immagini emerge chiaramente che chi consuma cibi green, chi segue una dieta come la nostra, mediterranea, può stare meglio degli altri.
Naturalmente la differenza abissale tra chi in una settimana si nutre di un pugno di semi e frutti e chi nei paesi ricchi accumula in una settimana esagerate quantità di cibo, è efficacissima.. Manzel ha percorso 24 paesi in tutti i continenti, e di questo viaggio alimentare molto “glocal”, fornisce dettagliatissime foto-documenti e ciascuna di queste foto, da cui ha ricavato il libro (Hungry Planet: What the World Eats) rieditato di recente, è un report compiuto, perfetto su quel paese. Dall’Australia al poverissimo Tchad – i due estremi del viaggio – anche chi non se ne intende di alimentazione è in grado di trarre conclusioni importanti e reali sul modo di mangiare o di abbuffarsi, di nutrirsi o di trangugiare. E su come e perché le antichissime diete con cibi ancor più antichi siano prepotentemente tornate di moda. Magari riesplorate e trattate con le tecnologie attuali per renderle più appetibili ed efficaci, ma sempre più praticate. E con un denominatore comune, ovunque avanzano la pizza, il cibo italiano.
L’Australia con 481 euro e il Tchad 1,23
In cima alla classifica di chi spende di più, i paesi industrializzati, come la Groenlandia (481 euro), la Germania (375), il Lussemburgo (347), gli USA (341) e la Francia (315) e in fondo i paesi molto poveri e parchi, come il Tchad (1,23 euro), il Bouthan (5), l’Ecuador (31), l’India (32), la Mongolia (35), l’Egitto (38) e il Guatemala (67). In mezzo i virtuosi, dall’Italia (260 euro) al Messico (189), dall’Inghilterra (226) alla Turchia (129)…. Ma più che la spesa, a volte legata al fatto che nei paesi ricchi si cercano le raffinatezze esotiche assai costose, conta guardare le foto emblematiche di ciò che la famiglia della foto mangia ogni settimana, ritratta proprio accanto ai cibi che costituiscono la sua dieta settimanale. Chi spende di più è perché adotta una dieta carnivora, le famiglie virtuose hanno una dieta non costosa a base di verdure, frutta, pane. La Germania vanta un panorama settimanale ricco di proteine animali, salumi, formaggi, e di bevande di ogni tipo e origine. Come è tradizione, la famiglia americana consuma quantità notevoli di scatolame, cibi non freschi e comunque pasticciati di origini fintamente internazionali, mentre la poverissima India con soli 34 euro mette in tavola una varietà invidiabile e appetitosa di verdura e frutta locali.
Polonia virtuosa e green
Spende ben 317 euro la famiglia giapponese ma per avere prelibatezze di mare (tanto pesce), verdure, salse e zuppe secondo una tradizionale e sana dieta che ha reso il Giappone insieme all’Italia il paese con la vita media più lunga del pianeta. E in effetti la famiglia italiana presenta la classica dieta mediterranea, variata, ricca di pasta e verdure, frutta e specialità eccezionali. Sorprendentemente anche un paese come la Polonia, con clima freddo e una produzione agricola continentale e poco mediterranea, segue i dettami di un’alimentazione sana, green, selettiva. Contrasta con questo trend di cibi freschi il poverissimo desco del Tchad, 1,23 euro costituito da riso e legumi secchi adatti ovviamente al clima. Tutto qui, sotto una tenda e in mezzo ad un paesaggio arido e un po’ ostile. Ma anche la famiglia del lontanissimo Buthan con 5 euro che cosa può permettersi, se non tanta verdura e una scarsasissima presenza di proteine? Una dieta parca ma all’origine della buona forma di questa popolazione, magra e felice.
Farinacei per il gran freddo
La famiglia egiziana non ha grandi scelte: tutto o quasi basato su verdure e frutta e un po di carne; al contrario nel Kuwait si trova una straordinaria varietà dal pesce ai cereali, dal green alla carne ma con grande equilibrio così come accade per il centro e il sud America che presenta un’eccezione: l’Ecuador dalle alture fredde e ventose richiede un’alimentazione ricca di farinacei, di cereali con contorni di verdure molto saporite. Giustificata la presenza di un regime a base di proteine animali in Mongolia dove il clima non è affatto favorevole e il lavoro fisico spesso è stremante. Dove invece dovrebbero esserci grandi quantità di verdure e frutta è per esempio il Lussemburgo che preferisce al contrario insaccati a gogo, molto pane e un po’ di pesce. Quanto al green, introvabile o quasi. L’Australia segue la stessa strada, con molta, troppa carne e poi tanto scatolame. L’esempio poco salutare dell’America sovrasta ogni buon proposito. Fortunatamente per l’Australia, avanza prepotente la dieta mediterranea, portata dai nostri emigranti e ora celebrata come privilegio e medicina per il corpo, lo spirito e l’umore.
Mangiare per stare insieme
Equilibrata la dieta della Francia che, proprio grazie alla sua straordinaria tradizione gastronomica, ha potuto nei secoli imparare a rifornirsi di tutte le varietà esistenti di carni, verdure, cereali, pesce, frutta. E infine è d’obbligo citare quanto l’autorevole FCSI, Foodservice Consultants Society International, ha anticipato sulle grande tendenze del food, tendenze che rivelerà alla prossima edizione di Host, la rassegna per la ristorazione che si terrà in ottobre a Milano e che sembra interpretare il pregevole lavoro di Peter Menzel. “Oggi il focus è sempre più sui prodotti regionali, stagionali, di alta qualità, cresce il vegano e il vegetariano mentre le intolleranze e le diete religiose – ha di recente affermato il presidente FCSI Martin Rahmann – avranno sempre più importanza. E il cibo nei prossimi decenni sarà visto come un’esperienza comunitaria, perché le persone saranno sempre più sole e la ristorazione e il cibo potranno diventare un ambito per lo scambio, la comunità e comunicazione”. Esattamente quello che da noi accade da sempre, da secoli.
Food 24 – 16 agosto 2017