Le amministrazioni non possono imporre un tetto ai permessi per il diritto allo studio che un singolo dipendente può godere nel corso degli anni e neppure al numero di titoli che vuole conseguire. E inoltre, non possono subordinare il rilascio di tali permessi alla congruità tra il titolo per conseguire il quale il dipendente chiede il permesso e le attività svolte presso l’ente.
Gli enti devono applicare, senza modifiche o stravolgimenti, sia come ampliamento sia come riduzione, le previsioni dettate dal contratto collettivo nazionale, in particolare dall’articolo 15 del Ccnl 14 settembre 2000, cosiddette code contrattuali. Possono essere così sintetizzate le principali indicazioni contenute nel parere Aran Ral n. 1792/2015. In tal modo vengono chiaramente delimitati gli spazi di autonomia e di discrezionalità concessi alle singole amministrazioni.
I limiti da contratto Le norme contrattuali subordinano la concessione dei permessi per il diritto allo studio, le cosiddette 150 ore, alle seguenti due condizioni. In primo luogo, non si deve superare il tetto del 3% dei dipendenti in servizio all’inizio dell’anno. In secondo luogo, questi permessi possono essere rilasciati solamente per il conseguimento di titoli di studio che sono riconosciuti dall’ordinamento, ivi compresi anche quelli posti universitari. La stessa disposizione detta i criteri che le singole amministrazioni devono utilizzare per scegliere i beneficiari di tali permessi nel caso in cui il numero delle domande ecceda il tetto massimo, criteri che privilegiano il conseguimenti dei titoli di studio più bassi e i dipendenti che non ne hanno goduto in precedenza. Per cui non vi sono impedimenti di sorta, all’interno delle condizioni prima ricordate, a che un dipendete possa godere nel corso degli anni più volte di questi permessi per conseguire titoli di studio diversi e ulteriori. È questa una possibilità che l’ente non può limitare né attraverso l’adozione di una specifica norma regolamentare, né attraverso la contrattazione collettiva decentrata integrativa. La materia è infatti disciplinata esclusivamente e interamente dal contratto nazionale.
La congruità del titolo Le amministrazioni non possono in alcun modo subordinare la concessione di questi permessi a una valutazione di congruità tra i titoli di studio che si vogliono ottenere e le attività di lavoro svolte presso l’ente. Viene evidenziato che vi è una netta differenza con le attività di formazione organizzate direttamente dalle amministrazioni, che sono chiaramente finalizzate a conseguire miglioramenti nella qualificazione professionale. Per cui non è possibile in alcun modo porre la condizione di un collegamento con i compiti svolti presso l’ente stesso.
Il parere dell’Aran infine evidenzia che le amministrazioni possono sicuramente darsi delle norme regolamentari, ma che tali disposizioni non devono in alcun modo incidere sugli aspetti disciplinati dal contratto collettivo nazionale di lavoro, ambito su cui non possono intervenire neppure i contratti decentrati integrativi. Per cui, gli eventuali regolamenti devono disciplinare esclusivamente gli aspetti organizzativi e gestionali.
Il Sole 24 Ore sanità – 30 ottobre 2015