A tre settimane dalla pubblicazione delle proposte della Commissione Ue sulla nuova Politica agricola comune (Pac) per il 2014-2020, che prevedono tagli all’agricoltura italiana per 1,4 miliardi, la Coldiretti ha messo attorno a un tavolo studiosi, amministratori e tecnici del settore agricolo per avviare una riflessione critica sui diversi Regolamenti legislativi presentati dal Commissario europeo Dacian Ciolo?.
L’occasione è stata un convegno organizzato dal Gruppo 2013 a cui hanno partecipato il presidente della Coldiretti, Sergio Marini, Ferdinando Albisinni (Università della Tuscia), Giovanni Anania (Università della Calabria), Giuseppe Blasi (Mipaaf), Gabriele Canali (Università Cattolica del Sacro Cuore), Mario Catania (Mipaaf), Fabrizio De Filippis (Università Roma Tre), Angelo Frascarelli (Università di Perugia), Franco Sotte (Università Politecnica delle Marche) e Pietro Sandali (Coldiretti).
A fare il punto sull’impianto generale delle proposte della Commissione è stato il professor De Filippis (coordinatore del Gruppo 2013), mettendo in evidenza aspetti positivi e negativi del nuovo impianto legislativo, così come delineato ad oggi. Tra le novità positive, lo “spacchettamento” del pagamento unico aziendale in diverse componenti (pagamento di base, greening, zone svantaggiate, giovani, piccoli agricoltori, pagamenti accoppiati), che dovrebbe rendere più selettivo e mirato il nuovo sistema, ma anche l’idea di porre un tetto agli aiuti più elevati (il cosiddetto capping) e di restringere la platea dei beneficiari della Pac agli “agricoltori attivi”. A presentare elementi innovativi rilevanti è anche il nuovo regolamento sullo sviluppo rurale con l’abbandono del rigido impianto basato su tre Assi in favore di un approccio flessibile mirato agli obiettivi e il maggior coordinamento con le altre politiche territoriali dell’Ue.
Desta invece forti perplessità la “convergenza”, che riduce le disparità tra i livelli medi di pagamenti diretti nei diversi Paesi. Questo meccanismo genera una redistribuzione modesta a livello comunitario (lo spostamento complessivo di risorse tra Stati membri, a regime, non arriva a 800 milioni di euro all’anno), ma i suoi effetti sono squilibrati e danneggiano l’Italia. Il motivo è semplice: la redistribuzione si basa sulla superficie (e non su altri criteri come valore aggiunto o Plv, più favorevoli al nostro Paese) che al 2009 era ammissibile a pagamento Pac; ciò danneggia quegli Stati dove c’è ancora il regime storico e dove, quindi, la superficie destinata a colture non coperte dalla Pac (come vite e frutta) non era ammissibile.
“L’Italia – ha dichiarato de Filippis – è doppiamente danneggiata, tanto che “paga” da sola circa un terzo di tutto l’ammontare redistribuito dalla convergenza. Oltretutto, dal 2014, l’Italia dovrà avviare la convergenza al proprio interno, abbandonando il regime storico entro il 2019 e uniformando a livello nazionale o regionale gli importi dei pagamenti ai propri agricoltori: questa non è una novità, ma il processo non sarà né facile né indolore”.
Un altro tema critico è il greening, un’idea difficile da digerire in un periodo di crisi economica, quando la priorità è la crescita del Pil, ma comunque giusta nel lungo termine e in linea con l’obiettivo di remunerare i beni pubblici. “Il greening proposto dalla Commissione però – secondo De Filippis – è disegnato male, come super-condizionalità obbligatoria per tutti, basata su misure di dubbia efficacia ambientale (la diversificazione) e su vincoli troppo rigidi, specie nelle realtà più competitive e orientate al mercato: imporre una percentuale di destinazione ecologica uguale per tutti significa infliggere costi molto diversi da zona a zona; assicurare a priori la patente di greening ai pascoli permanenti – ma non a oliveti, vigneti o agrumeti – è una scelta discutibile sotto il profilo ambientale e penalizzante per i Paesi mediterranei”.
Lo stesso vale per l’agricoltore attivo: l’idea è buona ma non la definizione, basata sull’ammontare di aiuti ricevuti piuttosto che sull’impegno effettivo nell’attività agricola e comunque non applicabile in modo soddisfacente nelle diverse realtà dell’Unione a 27. De Filippis ha infine rilevato come, specie sugli aspetti più innovativi, la nuova Pac dovrebbe affidarsi di più alla sussidiarietà, dando flessibilità agli Stati membri nella applicazione nazionale: il che è previsto per le nuove componenti dei pagamenti diretti (giovani, zone svantaggiate, pagamenti accoppiati, piccoli agricoltori), ma non per gli aspetti che più ne avrebbero bisogno – greening e agricoltore attivo – e nemmeno per il capping, che pure potrebbe avere senso applicare con qualche variante nazionale.
“Accanto ad una maggiore sussidiarietà – ha concluso De Filippis – l’Italia dovrà chiedere con forza la correzione di un meccanismo di convergenza penalizzante in misura inaccettabile, essendo già tra i più forti contributori netti del bilancio Ue. Sarà dura, ma si può fare, vista la debolezza politica di Ciolo? e le tante modifiche già apportate alle prime versioni delle proposte per la futura Pac”.
A chiudere i lavori del convegno, il presidente della Coldiretti Sergio Marini, fortemente critico rispetto ad un impianto legislativo comunitario che taglia le risorse destinate all’Italia per i mercati di ben 1,4 miliardi di euro nel periodo 2014-2020 e di un ammontare annuo a regime pari a 240 milioni di euro rispetto al 2013 (-6 per cento).
“Invece di definire gli agricoltori attivi in base a quello che effettivamente fanno, il testo varato dalla Commissione – ha denunciato Marini – li definisce solo in base alla quantità di aiuti che ricevono, premiando così le rendite e le dimensioni e non certo il lavoro e gli investimenti”. Con questa riforma, secondo il presidente della Coldiretti, “paghiamo il prezzo di una storica assenza dell’Italia nelle sedi comunitarie nei momenti in cui si prendono le decisioni importanti”.
“In Europa si è abituati a decidere con largo anticipo e non come da noi, dove affrontiamo i problemi giorno per giorno dopo che si sono verificati. Con questo atteggiamento miope in Europa – ha continuato Marini – l’Italia ha sempre perso nel passato, perde oggi con questa riforma e, se non cambierà comportamento, continuerà a perdere nel futuro. Una situazione inaccettabile di fronte alla quale la Coldiretti è pronta a mettere in campo ogni azione utile per realizzare una riforma più equa e giusta, visto che si prospetta per l’Italia una trattativa tutta in salita”.
In gioco ci sono circa 6 miliardi di fondi comunitari all’anno per i prossimi 7 anni ma, soprattutto, il futuro di oltre 17 milioni di ettari di terreno coltivato dal quale nascono produzioni da primato che danno prestigio e competitività al Made in Italy nel mondo. “In un momento di forte crisi economica – ha concluso il presidente della Coldiretti – le risorse andrebbero, infatti, indirizzate verso un’agricoltura che dà risposte in termini di competitività, occupazione, sicurezza alimentare e soprattutto verso chi l’agricoltura la fa sul serio e ci vive. La proposta di riforma della Politica agricola varata dalla Commissione Europea premia invece chi ha tanta terra e non ci fa niente”.
Ilpuntocoldiretti.it – 8 novembre 2011