Stefano Simonetti, il Sole 24 Ore sanità. Nel primo decreto legge adottato dal nuovo Governo, è possibile trovare una locuzione ormai del tutto tradizionale e consolidata nelle disposizioni legislative. Il Dl n. 162 del 31 ottobre scorso con l’art. 7 ha disposto, come è noto, la cancellazione dell’obbligo vaccinale per il personale sanitario e, con il successivo art. 8, ha precisato che “dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.
Ora, se circa 1.200 operatori sanitari rientrano in servizio due mesi prima rispetto alla prescrizione normativa del 2021, come si fa a sostenere che non esiste un “maggiore onere”? Gli stipendi da ripristinare non sono certamente un “nuovo onere” ma “maggiore” senz’altro. Scenari normativi come questo sono sempre più frequenti, ma il legislatore si dimostra tanto severo quanto insensato. Si pensi soltanto a uno degli argomenti più recenti, quello dell’etica pubblica: l’art. 4 della legge 79/2022 impone a tutte le pubbliche amministrazioni di svolgere una formazione obbligatoria sulla tematica ma, precisa, “nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente”. Risalendo indietro nel tempo, una legge importante come quella sulle violenze nei confronti dei sanitari (legge 113/2020), contiene all’art. 10 la solita precisazione riguardo alla “clausola di invarianza finanziaria”, nonostante che a livello di prevenzione delle violenze i costi siano ovviamente presenti e ingenti.
Anche i contratti collettivi non sfuggono a questa logica, perché con il nuovo Ccnl del Comparto, trattando degli obblighi e agli oneri legati alla Ecm (“garantiscono l’acquisizione”), sono state implementate le seguenti tematiche su cui formare il personale:
• introduzione e consolidamento del lavoro agile
• rischi specifici da violenza
• transizione digitale
• acquisizione e arricchimento delle competenze digitali
• sviluppo e trasformazione della pubblica amministrazione.
Il tutto è previsto isorisorse, cioè, per dirlo in termini brutali, senza un solo centesimo di investimento e le aziende sanitarie dovranno farvi fronte con i loro bilanci già stressati. Se un obbligo che genera costi per le aziende viene introdotto dal Ccnl, sarebbe corretto che trovasse copertura finanziaria all’interno degli oneri contrattuali. E nello stesso modo dispongono decine di leggi recenti, anche molto innovative e importanti: addirittura dieci anni fa esatti una legge di portata gigantesca come la 190/2012 – la cosiddetta “legge Severino” – conteneva all’art. 2 la clausola in questione e pensare che i numerosi e complessi interventi prescritti dalla legge fossero gratuiti è irragionevole oltre che poco serio.
Su questa malsana e irritante prassi di blindare la spesa pur in presenza di notevoli innovazioni normative che invece di costi ne comportano, le prese di posizione sono ormai molte e vorrei citare per la loro autorevolezza il Consiglio di Stato e Sabino Cassese. Il primo, nel Parere n. 2113 del 14 ottobre 2016 – rilasciato sulla bozza di decreto sulla riforma della dirigenza poi abbandonata, come sappiamo – ritiene che la previsione di invarianza di spesa sia del tutto risibile, come è ormai assodato in tutte le recenti leggi. Dicono i giudici Palazzo Spada che “il legislatore delegante e conseguentemente il Governo intendono approvare una riforma così radicale con il principio dell’invarianza della spesa. Si deve segnalare come tale principio sia uno di quelli in cui più si riscontrano difficoltà connesse alla fattibilità concreta della riforma. Non è sufficiente prevedere nuove regole di disciplina se poi non si prende in adeguata considerazione la fase di attuazione della riforma stessa e l’impiego di risorse finanziarie e umane che essa può richiedere”. Il grande giurista, da parte sua, con l’articolo “Chi (non) fa funzionare lo Stato” pubblicato sul Corriere della sera l’8 ottobre 2022, nell’esaminare i mali della nostra legislazione fa proprio riferimento alla “ossessiva ripetizione della ipocrita clausola di invarianza finanziaria”. È plausibile che questa prassi sia stata indotta dall’introduzione nella Carta costituzionale del principio di pareggio di bilancio, risalente all’aprile del 2012 e la prima legge ad esserne condizionata fu proprio la richiamata legge Severino. La formuletta viene da allora inserita per scongiurare conflitti per contrasto con l’art. 81: si pensa, infatti, che scrivendo in un testo di legge “dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica” si riesca a eludere il principio sancito dal terzo comma del citato art. 81 secondo il quale “ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”. Ma qualsiasi possa essere la finalità di norme di questo genere, si deve prendere atto che così è molto difficile andare avanti.