Dal granchio blu alla formica rossa. Il mondo, Italia compresa, è un arcobaleno di invasioni aliene. Non fatevi ingannare dalla parola “alieno”: non dovete pensare alle vite extraterrestri, ma c’è comunque da preoccuparsi per animali e piante non autoctoni che sconvolgono storici equilibri naturali. Basta un numero per capire perché: i danni economici causati sono stimati per 423 miliardi di dollari all’anno (circa 400 miliardi di euro). Lo sostiene un nuovo e importante report dell’Ipbes – l’ente delle Nazioni unite che si occupa di ecosistemi naturali.
Ma cos’è allora una specie aliena invasiva? Partiamo da una definizione del suo contrario: le specie native sono tutte quelle piante e animali tipiche di un luogo. Una specie aliena è tale quando è presente in una regione per motivi attribuibili all’uomo: trasporti e viaggi che l’hanno spostata. Sia volontariamente ma anche involontariamente: è celebre l’esempio che fanno spesso i botanici, dicendo che nei tappetini dell’aeroporto JFK di New York c’è più diversità di semi di alberi e piante che in una foresta americana.
Una specie aliena diventa anche invasiva quando si stabilizza in un luogo e la sua diffusione ha un impatto negativo per la biodiversità, gli ecosistemi e ovviamente le nostre attività e alla nostra qualità della vita. Qualche esempio globale: il primo lo conosciamo bene. La diffusione di nuove specie di zanzare in Europa e in Italia (la tigre, la coreana, l’egiziana) ha portato crescenti fastidi e nuove malattie.
Una specie invasiva molto spesso si diffonde in maniera rapidissima proprio perché arriva in un’area non preparata ad accoglierla. Nel caso degli animali, mancano i loro predatori naturali, quindi il loro numero cresce senza contrappesi naturali. Si impongono come mega-predatori, monopolizzando le risorse: è il caso del famigerato granchio blu arrivato nei nostri mari, ma anche dello scoiattolo americano, quello dalla coda nera: se fino a vent’anni fa gli scoiattoli in Italia avevano la coda rossa e ora non più è proprio a causa di questa “invasione”. Le piante invece possono avere bisogno di tutta l’acqua disponibile, o soffocare la vegetazione più bassa. Può succedere sulla terra ferma così come in acqua. Chi vive a Torino e in altre decine di città italiane attraversate da fiumi, conosce la storia della Elodea nuttallii, la pianta acquatica americana che è stata importata per abbellire gli acquari ed è finita negli scarichi: ora emerge dai corsi d’acqua come un’emorragia dal profondo. Un ultimo esempio, ancora più recente: gli incendi alle Hawaii sono stati alimentati anche dalle erbe non autoctone cresciute nella zona, come la Megathyrsus maximus e la Cenchrus ciliaris, entrambe africane.
Gli autori del report Ipbes hanno dimostrato che dal 1970 a oggi i costi delle invasioni biologiche sono cresciuti del quattrocento per cento ogni decennio. Almeno 3.500 specie aliene invasive dannose sono state registrate a livello globale. In Italia le specie aliene (anche quelle non invasive) sono più di tremila, +96% rispetto a trentanni fa.
Negli ultimi anni è cresciuta la nostra attenzione alla protezione della biodiversità: sappiamo che un ambiente sano presuppone una grande varietà di animali e piante. Ma la difesa delle specie deve tenere conto proprio del ruolo delle specie invasive, che insieme al cambiamento climatico causato dall’uomo e dell’antropizzazione degli habitat è tra le tre cause di perdite di biodiversità.
Il rapporto dell’Onu ci offre un ultimo numero: il 60% delle estinzioni riconosciute nell’ultimo secolo è causata dalle specie aliene, un dato che cresce al 90% quando si tratta delle biodiversità delle isole. Insetti, animali di ogni tipo, piante e ovviamente microbi: li abbiamo trasportati ovunque, evocando una forza ora difficile da controllare. Danneggia l’ambiente e danneggia noi stessi.
La Stampa