Mezza Italia a rischio per la nuova super-Irpef regionale disegnata dall’emendamento al decreto legge sulla revisione di spesa approvato dalla commissione Bilancio del Senato.
Nel raggio della nuova regola, che permette di anticipare al 2013 il tassello aggiuntivo dell’addizionale fino all’11 per mille (oggi è il 5 per mille), ci sono le Regioni impegnate nei piani di rientro dal deficit sanitario: in pratica tutto il Mezzogiorno, con l’eccezione della Basilicata, più il Piemonte. Territori in cui vivono 18 milioni e 226mila contribuenti, cioè il 44% degli italiani che ogni anno versano l’Irpef alle Regioni.
L’emendamento scrive solo l’ultimo capitolo della lunga vicenda dell’Irpef regionale, che nell’ultimo anno è stata al centro di una miriade di interventi al rialzo, e potrà avere effetti differenziati a seconda delle Regioni. L’aumento, prima di tutto, è una possibilità e non un obbligo: la Regione potrà prevedere l’anticipo con legge propria, e tutto dipenderà dallo stato dei conti locali e soprattutto dal tasso di successo dei piani di rientro dal passivo sanitario.
In cinque Regioni su otto, vale a dire Piemonte, Abruzzo, Lazio, Puglia e Sicilia, la novità potrà portare nel 2013 l’Irpef locale al 2,33 per cento, con un incremento del 35% rispetto al tetto attuale dell’1,73%: in soldoni, un reddito da 30mila euro che oggi paga 519 euro all’anno, dal 2013 potrebbe doverne versare 699.
Prima del “salva-Italia” di Natale, che ha aumentato dello 0,33% in maniera lineare e retroattiva tutte le aliquote di base (anche nelle Regioni con i conti della sanità a posto, perché l’intera somma è “girata” allo Stato sotto forma di taglio equivalente ai trasferimenti), lo stesso contribuente pagava 420 euro all’anno, per cui l’aumento cumulato si attesta al 66,4 per cento.
Nelle tre Regioni (Molise, Campania, Calabria) dove i tagli di spesa previsti dai piani di rientro non bastano, e scattano gli incrementi automatici appena confermati per il 2012 dal ministero dell’Economia, se la situazione non migliorerà l’Irpef locale 2013 potrà volare ancora più in alto. L’anticipo nel nuovo scalino di autonomia, infatti, in base al testo dell’emendamento non cancella l’aumento automatico dello 0,3%, per cui l’aliquota chiesta nel 2013 potrebbe volare al 2,73%: in questo caso, il solito reddito da 30mila euro si vedrà presentare un conto da 789 euro. Si tratta, come si vede, di cifre importanti, soprattutto se confrontate con quelle chieste ai propri contribuenti dalle Regioni che non hanno troppi problemi con i bilanci sanitari: in questi territori, la richiesta per il reddito da 30mila euro oscillano a seconda dei casi fra 519 e 699 euro e, visti i sistemi di prelievo scaglionati adottati da molte di queste Regioni, la distanza si fa sentire soprattutto per i redditi più bassi, che nelle Regioni in extra-deficit potranno pagare dall’anno prossimo fino al 114% in più di quanto richiesto nei territori con i bilanci in ordine.
Tradotto in euro, la richiesta per un reddito lombardo da 10mila euro potrebbe rimanere a 123 euro, contro i 269 a cui si potrà arrivare in Molise, Campania e Calabria.
La regola dettata per il 2013 per le otto Regioni impegnate nei piani di rientro, comunque, è solo un anticipo di quello che potrebbe accadere nel resto d’Italia dall’anno successivo, perché l’incremento dallo 0,5 all’1,1% della “fascia libera” alle decisioni regionali (da aggiungere alla base dell’1,23% uguale per tutti) è stato previsto l’anno scorso dal decreto attuativo sul federalismo regionale (Dlgs 68/2011): dal 2015, in base allo stesso provvedimento, il tassello regionale potrebbe salire addirittura al 2,1%, portando l’aliquota complessiva al 3,33 per cento.
Un rischio, questo, generalizzato, ma naturalmente più concreto nelle Regioni dove i bilanci soffrono di più.
ilsole24ore.com – 28 luglio 2012