Al Santobono viene ricoverata una bimba nigeriana e i genitori portano via i figli. E sul web è boom di mascherine. Un uomo sale su un taxi che ha tutti i finestrini abbassati. «Può chiuderli per favore? », chiede all’autista. Risposta: «Aspettiamo ancora un po’, che ho appena fatto scendere un cliente africano. Sa, con questo Ebola che gira, meglio essere prudenti…». Episodio successo due giorni fa a Prato, 4.272 km di distanza in linea d’aria dalla Guinea, il focolaio più “vicino”.
Ma la psicosi da Ebola è così, ridisegna la geografia, offusca la ragione. Prima di esser virus è “stalker”, ti spinge a modificare i comportamenti di vita. Quasi sempre sulla base di logiche “prudenziali” che niente hanno a che fare con le reali precauzioni mediche.
Non si trasmette per via aerea, ma il tassista di Prato apre lo stesso i finestrini. E a Pozzallo le mamme di una scuola media, per lo stesso timore, ritirano i figli da un progetto multiculturale. Così come al tribunale di Milano un magistrato fa udienza indossando i guanti in lattice. In Italia sta accadendo questo. L’Ebola non c’è, ma è come se ci fosse.
L’ALLARME NEGLI OSPEDALI
Finora nel nostro paese si sono contati una quindicina di falsi allarme, e l’Organizzazione mondiale della sanità aggiornando il conteggio delle vittime nel mondo a 4.546 con 9.191 casi accertati in Guinea, Liberia e Sierra Leone, ha specificato che «il rischio dello scoppio di un epidemia in Occidente è improbabile». Almeno per ora. Eppure giovedì, quando all’ospedale Santobono di Napoli si è sparsa la notizia che una bimba nigeriana di due anni era stata ricoverata, non c’è stato verso di arginare l’istinto di pensare che fosse proprio lei “la paziente zero”. In pochi minuti le è stata diagnosticata la malaria, e non l’Ebola, ma diversi genitori avevano già firmato per dimettere i figli degenti anche contro il parere dei sanitari. Si fa di tutto pur di fuggire dal mostro ipotetico.
La paura prende anche medici e infermieri. L’associazione di volontariato “Salute Salento” racconta di un paziente che in preda al panico e febbricitante si è presentato pochi giorni fa all’ospedale di Lecce temendo di essere stato contagiato per essere stato accanto a un extracomunitario in coda alla cassa di un supermercato. Gli operatori sanitari si sono messi le mascherine e tute, lunghi attimi di agitazione che «non hanno consentito loro di capire — sostengono i volontari — che l’incubazione dell’Ebola dura dai 2 ai 10 giorni, mentre il paziente aveva la febbre da più di 3 settimane». Nessuno si sente al sicuro. Allo Spallanzani di Roma, per dire, una delle tre strutture attrezzate per un eventuale emergenza infettiva, i sindacati sono in rivolta con la direzione.
LA PAURA SU AEREI E NAVI
Che poi ci sono dei luoghi dove si pensa sempre al peggio. Sugli aerei, ad esempio. Il mal di pancia del passeggero vicino, di questi tempi, non è mai solo un mal di pancia. Lo starnuto di chi ti ha appena confidato di essere tornato da un viaggio in Africa automaticamente diventa un pericolo, e il raffreddato un “untore”. Quando una 35enne italiana di rientro da Dakar si è sentita male sul volo della Tap Lisbona-Malpensa, era il 13 settembre scorso, a bordo dell’aereo si è fatto il vuoto intorno a lei, c’era chi piangeva e chi si copriva la bocca con la mano come a difendersi da un gas velenoso. I sintomi erano mal di pancia, nausea, emicrania. La diagnosi, appena atterrato il velivolo e dopo che erano scattate le procedure di quarantena, è stata: gastroenterite.
Quando scatta la psicosi, nemmeno l’infarto assomiglia più all’infarto. «È ebola, è ebola», urlavano i compagni di viaggio di un africano sul volo Accra-Roma, appena lo sfortunato si è accasciato sul sedile. Invece era arresto cardiaco.
Sui treni, sui tram, sugli autobus, le stesse ansie. Gente che si guarda intorno, gente che cambia posto a seconda di dove si siedono gli immigrati perché «è vero che non c’è l’Ebola, però non si sa mai…». Sulle navi, pure. A Bari il prefetto ha ottenuto che quelle della marina militare impegnate nell’operazione Mare Nostrum non attracchino nel capoluogo perché potrebbero «scoraggiare il traffico dei croceristi ».
BOOM DI MASCHERINE E TUTE ANTI VIRUS
«La grande attenzione mediatica, non sempre accorta, sull’epidemia africana — spiega Luca Sarno, professore di psicologia clinica e psicoterapia del San Raffaele — unita al fatto che non esiste un vaccino e dunque la malattia viene associata mentalmente alla morte, può farci sentire preda di qualcosa di misterioso che può colpirci in qualunque momento. Anche se non vedo, al momento, una vera psicosi. Certo, la preoccupazione cresce sempre di più». È per questa “fobia del male invisibile” che su eBay e Amazon sono comparse centinaia di mascherine, tute protettive e libri su come affrontare una pandemia. I prezzi variano da 0,99 a 2.500 dollari. L’illusione di comprarsi la salute.
Repubblica – 18 ottobre 2014