Possibili conseguenze di un default dell’Italia
La premessa. Bankitalia ieri ha spiegato che il debito pubblico italiano è sostenibile nei prossimi due anni anche se i tassi di interesse sui titoli di Stato arrivassero all’8% e la crescita fosse uguale a zero. È la risposta a chi in questi giorni sventola lo spettro del default – gli speculatori innanzitutto – di fronte all’impennata del differenziale di rendimento tra i Btp e i Bund. Ieri lo spread ha chiuso a quota 436 e il rendimento dei titoli decennali si è attestato al 6,19% sul mercato secondario, più o meno come due giorni fa, restando pericolosamente vicino a quella soglia del 7% che gli operatori indicano come il punto di non ritorno per un Paese verso il fallimento. Ma la Banca d’Italia è stata chiara, lo Stato italiano reggerebbe anche se il tasso fosse all’8%. Resta però il fatto che questa situazione finanziaria di «emergenza» ha delle ricadute sui bilanci di famiglie e aziende. Perché la crisi del debito sovrano coinvolge non solo gli Stati, ma a scendere anche le banche, le aziende e i cittadini. Insomma, tutti coloro che devono finanziarsi. «Si assiste a un effetto a catena, con ripercussioni sugli istituti di credito, sulle aziende e sulle famiglie», spiega Angelo Drusiani, gestore obbligazionario di Banca Albertini Syz, che aggiunge: «Il rischio in caso di default è che i ceti medi si impoveriscano, livellandosi sul basso. Il venire meno della disponibilità liquida delle famiglie spingerebbe alla ricerca solo dei beni essenziali. Insomma, nei primi tempi ci sarebbe una forte recessione». Salvare la moneta unica conviene a tutti, alla Germania come alla Grecia, perché i costi della rottura dell’euro sarebbero altissimi. Va in questa direzione l’intervento dell’Unione europea per creare un piano di salvataggio che aiuti la Grecia, rafforzi le banche dell’Eurozona e garantisca in parte – attraverso il Fondo salva Stati Efsf – gli investitori sul primo 20% di eventuali perdite su bond di futura emissione. Gli economisti si trovano ad affrontare uno scenario nuovo, perché non esiste un precedente di default di un’economia avanzata.
1 – I titoli di Stato
I rendimenti elevati dei Btp Occasioni e volatilità
Ieri il rendimento di un titolo di Stato decennale italiano era del 6,19% sul mercato secondario, l’interesse sul quinquennale del 6,01%, quello sul biennale del 5,25%. Che fare? La prima regola è non cedere all’ansia. Le decisioni in campo finanziario (e non solo) non vanno mai prese sull’onda dell’emotività. Dunque di fronte alla possibilità di acquistare o vendere titoli di Stato si deve valutare la propria propensione al rischio e assumere la maggior quantità di informazioni di fonte valida.
2 – Il credito alle imprese
Investimenti delle aziende Cominciata la stretta sul credito
Peggiorano le condizioni dei prestiti alle aziende, in conseguenza delle tensioni sul fronte della raccolta bancaria e della pressione sui titoli di Stato. Il Rapporto sulla stabilità finanziaria pubblicato ieri da Bankitalia ha segnalato inoltre «l’alta quota di debiti bancari con scadenze ravvicinate (circa il 60% inferiore a due anni), il cui rinnovo potrebbe consentire alle banche di aumentare i margini». Già da questa estate lo spread massimo applicato sui prestiti alle imprese è salito fino a picchi del 9%.
3 – Prestiti immobiliari
Mattone, chi compra paga già interessi più cari
Secondo Bankitalia, se dovessero proseguire le difficoltà di raccolta delle banche italiane sui mercati all’ingrosso, i tassi di interesse sui prestiti alle famiglie potrebbero aumentare in misura considerevole. Tuttavia «i mutui a tasso variabile stipulati in passato (circa il 70% della consistenza complessiva) sono legati al tasso Euribor, per il quale i mercati si attendono una riduzione nei prossimi mesi». Diverso sarà per i nuovi mutui, che risentiranno del peggioramento generale.
4 – Garanzie allo sportello
Conti correnti garantiti fino a 100 mila euro
Tutti i conti correnti sono garantiti dal Fondo interbancario di tutela dei depositi che copre fino a 100 mila euro e prevede il rimborso entro 20 giorni. Ovviamente dipende dalla solidità del sistema bancario. Per far fronte all’aumento del rischio dei titoli del debito sovrano che gli istituti di credito hanno in portafoglio, l’Autorità di vigilanza europea (Eba) ha chiesto alle banche dell’Eurozona di rafforzare il proprio capitale. Per gli istituti italiani si parla di un’iniezione da 14,8 miliardi.
5 – Gli oneri per l’Italia
Il conto della crisi può arrivare a quota 100 miliardi
I conti li aveva già fatti ad agosto Ignazio Visco, allora vicedirettore generale oggi governatore di Bankitalia. Ogni «spostamento verso l’alto di 100 punti base — spiegava— comporta un incremento della spesa per interessi pari a circa 0,2 punti percentuali del Pil nel primo anno e a 0,4 e 0,5 punti rispettivamente nel secondo e terzo anno». Con lo spread oltre quota 400 punti la crisi potrebbe arrivare a costare all’Italia 100 miliardi di euro.
6 – Lo scenario peggiore
La rottura dell’euro? Costerebbe dieci volte di più
I leader europei ne sono consapevoli: la rottura dell’euro costerebbe molto di più che salvare la Grecia. Otto o dieci volte di più, secondo uno studio di Ubs sui costi della fine della moneta unica: per un cittadino tedesco i salvataggi peserebbero 1.000 euro contro 6-8 mila il primo anno e 3.500-4.500 l’anno successivo in caso di fine dell’euro. Inoltre la moneta dei Paesi che dovessero abbandonare l’euro si svaluterebbe del 60%.
Corriere.it – 3 novembre 2011