L’ultimo allarme, quello per la cosiddetta “morìa del kiwi”, è in realtà un serio problema fitosanitario noto agli esperti da ormai otto anni. «È una malattia partita dal Norditalia che ora si sta diffondendo dappertutto – racconta Vincenzo Lenucci, direttore dell’area economica di Confagricoltura – in questo momento colpisce duramente l’Agro Pontino, che rappresenta il cuore della produzione italiana di kiwi, dove ha già distrutto il 30% dei frutti». La causa della malattia è ignota, potrebbe essere un virus come potrebbe essere il combinato disposto di più cause: «Sappiamo per esempio che in Nuova Zelanda, altro grande produttore di questo frutto, la struttura del terreno è diversa e le piante non sono state colpite», dice Lenucci.
Ad oggi nel Veronese la malattia ha intaccato più della metà della superficie dedicata ai kiwi, in Friuli la morìa ha interessato il 10% degli impianti mentre l’Emilia Romagna ha denunciato un calo di produzione del 40%. Un danno enorme per l’Italia, che è il secondo produttore mondiale di kiwi dopo la Cina e addirittura prima della Nuova Zelanda.
Altro grande pericolo per le campagne italiane è quello della peste suina, che da tempo è presente nell’Est Europa ma che quest’anno ha fatto la sua comparsa in Germania e rischia di allargarsi al resto della Ue. Innocua per un uomo che si dovesse cibare di carne infetta, è quasi sempre letale per i maiali. E per il mercato delle produzioni suinicole: in Italia il settore fattura 3 miliardi di euro per la fase agricola e 8 per quella industriale, coinvolgendo 25mila aziende agricole e 3.500 imprese della trasformazione. «Da quando ci sono stati i casi in Germania – racconta Lenucci – alcuni Paesi come il Giappone e la Corea del Sud hanno bloccato l’importazione di carne tedesca per non rischiare il contagio. Se una cosa del genere dovesse capitare all’Italia, sarebbe una catastrofe sia per il crollo dei prezzi della carne e dei salumi sul mercato nazionale, sia per la caduta dell’export».
Anche le pere italiane sono decimate: intorno a Ferrara, dove cresce il 70% della produzione nazionale, soltanto l’anno scorso sono stati abbattuti 2mila ettari di frutteti, mentre quest’anno andrà perso il 25% del raccolto. Colpa di due funghi, la maculatura bruna e il marciume del calice delle pere, di fronte ai quali gli agricoltori sono impotenti: «I pesticidi chimici, che erano efficaci contro questi funghi, non si possono più usare, ma la ricerca non è ancora riuscita a inventare dei sostituti», sintetizza Lenucci. Per questo Confagricoltura si augura che il governo italiano prenda spunto da quanto ha appena deciso Parigi: «Gli agricoltori francesi – racconta Lenucci – avevano un problema omologo a questo ma sulla barbabietola da zucchero, della quale sono i più grandi produttori europei: nell’attesa che la ricerca facesse i passi avanti necessari, il governo ha riconosciuto loro la possibilità in via straordinaria di ricorrere ai vecchi pesticidi pur di salvare dalla morte queste colture».
Tra i pomodori Pachino della Sicilia, invece, ha già fatto la sua comparsa il virus rugoso, «che ha una diffusione rapidissima», ricorda Lenucci. E sempre in Sicilia rischiano gli agrumeti: per il virus della “tristeza”, che ha già colpito nel Siracusano, e per il fungo macchia nera, questo sì più pericoloso, per il quale finora la sorveglianza alle frontiere sta funzionando. «Di arance colpite le nostre dogane ne hanno fermate parecchie – ricorda il direttore – il fatto però è che l’industria del succo d’arancia, in particolare quella del Nordeuropa, ha interesse a importare le arance dai Paesi terzi, mentre noi italiani vorremmo preservare i nostri agrumeti da ogni rischio di contagio». Per questo l’Italia vorrebbe controlli ancora più stringenti lungo le frontiere della Ue.
«Le sempre più numerose minacce che colpiscono le produzioni agricole ci spingono a trovare nuovi modelli produttivi coniugando sostenibilità ambientale e ricerca scientifica – ha detto il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti – una sfida a cui sono chiamati l’agricoltura, il mondo accademico, l’industria e la politica. C’è uno stretto legame tra sostenibilità e ricerca: se questo si rompe, si rischia il crollo delle produzioni e la perdita di posti di lavoro. Come Confagricoltura confidiamo che si adottino scelte in grado di garantire la sostenibilità ambientale ed economica delle produzioni agricole, con soluzioni tecniche adeguate a preservare la produzione e la produttività nazionale delle colture».
Micaela Cappellini