Gli ultimi due arrivati sono il premio alla nascita e il buono nido. Sono prestazioni destinate a sostenere le famiglie – e specificamente la natalità – che la legge di bilancio farà scattare dal 2017. Si aggiungono ad altri benefici esistenti in un quadro già piuttosto frastagliato: una specie di labirinto con procedure e requisiti differenziati che possono richiedere ai neo genitori un faticoso slalom tra uffici e siti Internet.
Il governo ha promesso di riordinare tutta la materia con lo strumento del Testo unico e di intervenire in modo più incisivo per la famiglia con effetto dal 2018. Concentrare le risorse sembra una strategia ragionevole in un contesto in cui gli italiani fanno sempre meno figli, ammesso e non concesso che l’incentivo monetario possa essere utile a invertire la tendenza. Sta di fatto che dopo un 2015 in cui per la prima volta nella storia dello Stato unitario le nascite sono scese sotto il mezzo milione, per quest’anno è previsto un ulteriore crollo, con 450-460 mila neonati.
IL BILANCIO Lo sforzo finanziario destinato alla voce famiglia, che può essere valutato con criteri diversi, non è comunque trascurabile nel bilancio pubblico italiano: si arriva intorno ai 20 miliardi l’anno sommandone circa 13 di detrazioni Irpef per carichi di famiglia, oltre 6 di assegni familiari concessi a vario titolo e altre voci minori. Dal punto di vista di un singolo nucleo familiare con reddito basso, alla nascita di un figlio può corrispondere un beneficio non lontano dai 5 mila euro l’anno, destinato poi a ridursi negli anni successivi ed in particolare dopo il terzo di vita. Ma bisogna appunto conoscere tutte le prestazioni a cui si ha diritto e fare le necessarie domande.
La novità delle misure previste dalla legge di bilancio appena passata all’esame del Senato è che non prevedono un requisito di reddito: andranno quindi anche a chi ha una situazione economica buona o molto buona. Sarà l’Inps, con procedure che ancora devono essere precisate, ad erogare sia il premio alla nascita una tantum da 800 euro, ottenibile già al settimo mese di gravidanza, sia il buono nido da 1.000 euro l’anno (su 11 mensilità) per il quale andranno naturalmente presentati gli opportuni documenti di iscrizione. Il sostegno per i nidi può essere richiesto fino ai tre anni del bambino, ma sarà riconosciuto solo nel limite delle risorse stanziate (144 milioni il prossimo anno, circa 300 a regime): raggiunte queste soglie l’Inps non accetterà più domande. Inoltre i genitori dovranno ricordare che non hanno diritto alle detrazioni Irpef per la stessa finalità, e nemmeno ai già esistenti voucher nido, entrambi benefici incompatibili.
LA DOMANDA Sempre all’Inps va presentata la domanda per l’assegno di natalità, introdotto nel 2015 e più noto come bonus bebè, per avere il quale occorre però un Isee (indicatore di situazione economica equivalente) entro i 25 mila euro. Sono 960 euro (80 euro al mese) per tre anni, ma se l’Isee non supera i 7 mila euro l’importo raddoppia.
Serve invece di solito una comunicazione al datore di lavoro, se gli interessati sono dipendenti, per far scattare alla nascita del figlio l’assegno al nucleo familiare (Anf) e la detrazione Irpef (che spetta anche per il solo coniuge a carico). In entrambi i casi gli effetti si vedranno in busta paga: sono consistenti, fino a 2-3 mila euro l’anno, se il reddito è basso e poi si riducono al crescere di quest’ultimo fino ad azzerarsi. Attenzione però: il reddito da considerare ai fini dell’Anf è quello familiare e comprende anche alcune voci esenti da Irpef. L’assegno può essere richiesto direttamente all’Inps da pensionati, lavoratori domestici, disoccupati e lavoratori autonomi (questi ultimi hanno diritto a prestazioni differenti e ridotte), mentre se non c’è un rapporto di lavoro dipendente la detrazione Irpef va fatta valere in dichiarazione.
Infine altre prestazioni sono erogate dai Comuni, ai quali bisogna quindi rivolgersi: si tratta in particolare dell’assegno di maternità riconosciuto alle donne che non lavorando non hanno trattamenti di questo tipo e dell’assegno aggiuntivo per i nuclei con almeno tre figli minori. In entrambi i casi l’accesso è limitato dall’Isee.
Il Messaggero – 4 dicembre 2016