Tutti fermi, come con gli orsi, in attesa di vedere che succede. Vince il «Sì»? Vince il «No»? Nel Pd si consumerà la scissione? Il centrodestra imploderà per rinascere in un «nuovo contenitore» (espressione orrenda ma parecchio in voga tra forzisti e centristi)? Il risultato del referendum di domani si abbatterà come uno tsunami sul quadro politico nazionale – con riverberi perfino a livello europeo – ed è ovvio attendersi ripercussioni a cascata anche sul territorio, specie in vista delle elezioni amministrative di primavera.
In questo senso, è interessante puntare la lente su Verona, dove governa quel Flavio Tosi che fino al marzo 2015 fu segretario della Lega ed oggi viene indicato dal segretario del Pd Matteo Renzi come il «volto migliore del “Sì”», uno che «sta facendo un gran lavoro a favore della riforma». Chiaro che se vincerà il «Sì» il legame tra il sindaco e il premier si rafforzerà ancor di più e a quel punto Tosi potrebbe sperare davvero nell’agognato terzo mandato fin qui sempre negato dal governo (e chissà, magari pure in un posto nell’esecutivo per la compagna Patrizia Bisinella) e confidare nell’appoggio del Pd se non al primo turno, quanto meno al ballottaggio. Se invece trionfasse il «No», e Berlusconi desse seguito all’intenzione di formare un governo tecnico con Renzi, il quadro cambierebbe ma Tosi continuerebbe a giocare da pivot (aiuta ricordare che alla Regionali in città prese circa il 30%, proprio come Zaia e la Moretti). In questo caso la Lega potrebbe sganciarsi da Forza Italia, in polemica col «governicchio», e gli azzurri diventare il motore di un rassemblement di centrodestra che va da Tosi a Stefano Casali, che fu il vice di Tosi, oggi è il capogruppo della lista Tosi in Regione ed ha già annunciato (con un certo fastidio di Tosi) di volersi candidare a sindaco.
Poi c’è Padova e qui il voto di domani potrebbe impattare soprattutto sugli equilibri nel centrosinistra visto che nel centrodestra, vada come vada, l’uomo forte sarà il sindaco defenestrato Massimo Bitonci (l’unica curiosità riguarda i rapporti tra la Lega e Forza Italia, che in caso di «governo tecnico» potrebbero incrinarsi ancor di più, portando candidati e consensi alla lista «Forza Padova» in cui Bitonci medita di far confluire gli azzurri che gli sono stati leali). Se vincerà il «Sì», nella città del Santo si dà per certa la candidatura di un «renziano d’acciaio» e tra i nomi che girano c’è quello del deputato Alessandro Zan. Se vincerà il «No», molti temono possa consumarsi la scissione da parte della minoranza targata Zanonato-Ruzzante, che potrebbe presentare una sua lista mentre il Pd sarebbe costretto a mettersi alla ricerca di un candidato civico, il Papa straniero (il professor Paolo Gubitta? Il presidente della Camera di commercio Fernando Zilio?). E poi ci sono i Cinque Stelle, che pure dalla vittoria del «No» potrebbero ricevere la spinta verso Palazzo Moroni.
Ultimo capoluogo al voto nel 2017, Belluno, dove però le dinamiche nazionali sembrano incidere meno sugli equilibri locali. Il sindaco uscente, Jacopo Massaro, «renziano» quando Renzi era il Rottamatore, ex Pd che ha battuto il Pd con una civica, pare sia in fase di riavvicinamento al Pd per il tramite del renzianissimo Roger De Menech. Sarà curioso vedere anche come si muoverà il Bard, il movimento autonomista che alle Regionali strinse un patto d’acciaio con i dem e ora si è pesantemente schierato a favore del «No» (anche perché ritiene che quel patto sia stato tradito). Nel centrodestra è nebbia fitta anche se non è sfuggito come la battaglia per il «No» abbia riavvicinato Lega e Forza Italia e addirittura vecchi nemici come l’assessore regionale all’Ambiente Gianpaolo Bottacin e il senatore Giovanni Piccoli. In questo caso va tenuto conto che in primavera si voterà anche nel «vicecapoluogo», Feltre, sicché leghisti e azzurri potrebbero partire dal ritrovato feeling per assicurarsi vicendevole sostegno con alfieri berlusconiani a Belluno e salviniani a Feltre.
Infine, Venezia e la Regione. Quanto al capoluogo lagunare, la vittoria del «Sì» consoliderebbe la posizione del sindaco Luigi Brugnaro, che per il «Sì» si è speso pubblicamente, ha da poco firmato con Renzi il Patto per Venezia e da quando ha indossato la fascia tricolore ha sempre mostrato grande feeling con il premier (peraltro, da sempre sostiene la Grande Coalizione). Raccontano in città che negli ultimi tempi si siano intensificati i contatti con i dem più lontani dai riflettori e in questo senso andrebbero interpretate anche le aperture di alcuni «uomini in fucsia» sul «dialogo possibile» con «il Pd del fare». E se vincesse il «No»? Poco male per Brugnaro, la cui maggioranza è blindata e prescinde dalla Lega. Infine, la Regione dove tra due blocchi ben definiti l’attenzione si concentra sui centristi e in particolare sui consiglieri che fanno riferimento all’area Tosi. Molto chiacchiericcio si leva attorno a Maurizio Conte, che riferiscono per nulla intenzionato ad accasarsi con Renzi, lui ex leghista, e quindi pronto a riavvicinarsi al centrodestra passando nel Misto oppure con i Fratelli d’Italia, in attesa del riassestamento dell’area. Un altro indiziato, più o meno per le stesse ragioni, è Andrea Bassi. E poi c’è il capogruppo, Casali, di cui si diceva prima, i cui movimenti potrebbero creare un effetto domino. Il governatore Luca Zaia, comunque, viene dato assai poco interessato a possibili allargamenti della sua maggioranza (che peraltro potrebbero creare frizioni soprattutto in casa Lega, dove ancora ringhiano contro «i traditori»). Rumors finale per la speaker del Pd Alessandra Moretti: se si andasse al voto, a Palazzo Ferro Fini la danno tutti (ri)partente per Roma. Si vedrà.
Marco Bonet – IL Corrierre del Veneto – 3 dicembre 2016