C’è di che riflettere sul “caso Purgatori”, come occorre ormai chiamarlo, dato il graduale aumento d’intensità del rumore mediatico intorno all’esposto presentato alla magistratura dai familiari per presunti errori di alcuni illustri clinici sul percorso diagnostico e terapeutico. La malpractice – oggi al centro di una spirale rivendicativa e risarcitoria che vede in campo stuoli di famelici avvocati – è antica come la storia di quella che Ippocrate chiamava “l’arte lunga”, la medicina. Sono vecchie di millenni anche le lamentazioni e le denunce di pazienti celebri. Nel I secolo dopo Cristo, nella sua Storia naturale (XXIX, 18), Plinio il Vecchio usava parole infuocate contro imperizia e negligenza, mettendo in risalto, da una parte, l’enorme potere del medico a cui il paziente, sedotto «dalla dolce speranza della guarigione» conferiva poteri di vita o di morte, anche quando non era sicuro delle sua capacità.
Considerando, dall’altra, come a questo non corrispondesse una responsabilità per eventuali danni prodotti sul paziente: «Non c’è nessuna legge che punisca un’imperizia che può costare la vita – lamentava – nessun esempio di rivalsa nei suoi confronti». E continuando: solo al medico è garantita l’assoluta impunità nel commettere un omicidio. Inseparabile, da sempre, dalla pratica medica, il problema della responsabilità degli errori medici – dovuti per lo più a inadeguatezze strutturali o procedurali, e non a negligenze o a leggerezze personali – continua a far discutere come dimostra l’eterno dibattito sula tutela degli operatori sanitari dalla responsabilità civile e penale derivante dalla loro attività. Tra timori di eccessi e di colpi di spugna capaci di cancellare penalmente tutti i reati clinici, compresi dolo e negligenza il dibattito ha impegnato per decenni i Ministri della salute.
Di recente è stato riaperto dalla proposta dell’ultimo, Orazio Schillaci, di depenalizzare gli errori medici anche in funzione di argine alla medicina difensiva, che induce i medici a prescrivere esami su esami, intasando le strutture. All’ordine del giorno da troppo tempo in un Paese in cui l’errore commesso dal medico rischia di essere sanzionato penalmente, come accade solo in Polonia e Messico, l’attesa riforma trova uno scenario in rapido cambiamento che vede affermarsi la tendenza alla demonizzazione e alla colpevolizzazione dei medici e delle strutture. Morti anticipate, percorsi di vita segnati dalla necessità di cure e trattamenti, vengono vissuti come un diritto negato, il venir meno di una promessa di guarigione, cosa che spinge alla ricerca del presunto errore medico e spesso a denunce per omicidio colposo che, nella grande maggioranza dei casi, finiscono archiviate o con assoluzioni.
Peraltro l’ampliamento delle conoscenze ha creato l’iper-specializzazione e la frammentazione delle competenze è il sistema corrente dell’approccio al paziente. Sempre più spesso mediatore della sua condizione di malato con una pluralità di professionisti su cui si concentrano aspettative taumaturgiche, mentre nessuno di loro è l’interprete unico delle prospettive terapeutiche. In generale, nell’ambito delle teorie scientifiche, gli errori rappresentano un’utile occasione di conoscenza. Ma questo criterio, per un’infinità di ragioni, si applica solo in parte a quelli medici.
C’è da sperare che gli accertamenti che un folto gruppo di periti – incaricati dagli inquirenti di raccogliere cartelle cliniche e altri materiali – gettino piena luce sulla morte del giornalista. Che, tra parentesi, non avrebbe forse gradito la massa informe di parole, commenti, notizie, discussioni su metastasi e ischemia, indiscrezioni sulle eccellenze cliniche coinvolte nella vicenda e sulla supposta divergenza di vedute tra i curanti; nonché le screanzate intrusioni nella sua privacy di cui faceva parte il tumore, con dimensione e sede. Senza parlare di tutto ciò che sta tracimando in queste ore dalla terra di nessuno dei social. A cominciare dalle teorie del complotto che circolano su Tweet e rimandano ad oscure manovre di chi aveva interesse ad una diagnosi sbagliata o fabbricata per far tacere Purgatori o per vendicarsi per le sue inchieste (vertici dell’Aeronautica militare, Servizi segreti, paesi Nato, mafia, caso Orlandi).
Sono ricomparsi i no vax. Se una parte insiste sul nesso tra vaccino e decessi e sugli effetti avversi (miocarditi, pericarditi e trombosi), un’altra evoca le sue prese di posizione a vantaggio dell’operato del governo. Rilanciato da vari haters compare il manifesto da lui firmato “Io sto con Speranza”, divulgato a suo tempo. Basta ad attirargli vergognosi insulti postumi per le sue posizioni sui vaccini, il lockdown, il green pass.
La presunta malpractice di cui sarebbe stato vittima ispira tweet beffardi sulla sua fiducia nella scienza e sugli “angeli”, difesi e osannanti, con il camice delle terapie intensive responsabili della sua morte.
Eugenia Tognotti – La Stampa