E’ di qualche giorno fa che la Oxford University Press ha dichiarato guerra a Peppa Pig. La prestigiosa casa editrice britannica intende vietare i riferimenti al maiale nei libri per l’infanzia per evitare di urtare la sensibilità religiosa di musulmani ed ebrei. “In una società multiculturale come la nostra è necessario essere corretti verso tutti”, ha detto il portavoce Dan Selinger.
Questo è solo l’ultimo caso di un’offensiva simbolica antisuina, antica quanto il mondo e che affonda le sue radici nelle profondità dell’immaginario mediterraneo e non solo. La Sura del Corano ordina che “sono vietati gli animali morti, il sangue, la carne di porco e ciò su cui sia stato invocato altro nome che quello di Allah”. Mentre la Misnah, uno dei testi sacri dell’Ebraismo “Maledetto l’uomo che alleva maiali!”. La vox populi cristiana invece inneggia al maiale dicendo che “se il porco avesse le ali sarebbe l’arcangelo Gabriele”.
I tre monoteismi, nelle loro differenti posizioni, di fatto trasformano il suino in un simbolo. Di tutto e il contrario di tutto. Del male e del bene. Dell’impurità e dell’abbondanza. Della lussuria ma anche della parsimonia. Che possono entrambe essere ben rappresentate dal porcellino. Emblema del risparmio, in veste di salvadanaio. Ma anche sinonimo di pensieri, parole ed opere un po’ cochon.
Ai significati del maiale è dedicato un divertente libretto di Michel Pastoureau dal titolo “Il maiale. Storia di un cugino poco amato”. Un autentico manuale di porcologia che attraversa secoli e culture alla ricerca di quel lungo filo rosso che da tempi immemorabili unisce uomini e maiali. Dal mito omerico della maga Circe, che tramuta i compagni di Ulisse in porci, rivelando forse la loro vera natura, fino ai Tre porcellini. Dall’episodio del Vangelo di Marco in cui Cristo scaccia una legione di demoni dal corpo di un uomo e la trasloca in un branco di suini, fino a Peppa Pig, la deliziosa scrofetta rosa che adesso corre il rischio di essere sacrificata sull’altare del politically correct.
In realtà il porcello comincia ad essere un animale chiacchierato già da Aristotele, che gli attribuisce una sessualità calda e sfrenata. Per questo in molte religioni viene associato alle divinità supreme in quanto simbolo della fecondità, del desiderio sessuale, dello slancio vitale.
Nel mondo celtico e germanico molte dee sono raffigurate come scrofe. E se nell’antica Cina il porco, dodicesimo dei segni zodiacali, è l’emblema positivo, della forza virile, nel primo cristianesimo, il maiale diventa il simbolo negativo dei bassi istinti, della carne debole, di una corporeità fisiologicamente sottoposta alla tentazione delle “porcherie”.
Così all’innocente porcello tocca l’ingrato compito di rappresentare la parte animale dell’uomo. In realtà della somiglianza tra umani e suini sono convinte anche le scienze che, fino alle soglie dell’età moderna, studiano l’anatomia umana sul modello di quella porcina.
E se i due sono simili nel corpo la convinzione è che lo siano anche nel carattere. Insomma dalle animelle all’anima il passo è breve.
E spesso i risultati sono paradossali. Come i numerosissimi processi che, fino agli inizi del Seicento, vedono il maiale trascinato sul banco degli accusati. Addirittura con il volto coperto da una maschera umana, come la celebre scrofa di Falaise condannata al patibolo per omicidio nella Francia del 1386.
E adesso, a dirlo è l’immunologo Éric Wagner, i maiali potrebbero donarci perfino i loro organi, che sarebbero perfetti per essere innestati nel nostro organismo. A condizione però di umanizzare l’animale, manipolandolo geneticamente per scongiurare il rigetto. Fisiologico ma anche etico. Perché altro è mettersi in corpo una salsiccia, altro avere un cuore suino che ci batte in petto.
Fonte La Repubblica – 20 gennaio 2015