Paladina di successo dell’anti-scienza, Lorenzin non l’ha spuntata su partite cruciali per il mondo della sanità ma anche per i cittadini. Il braccio di ferro con il Mef ha pesato: le risorse per i contratti nell’ultima legge di Bilancio alla fine non sono arrivate, mentre il superticket ha subito non più di un ritocco. Eppure, afferma Lorenzin, che al voto del 4 marzo si presenterà con la sua lista Civica Popolare, «il personale è una priorità non più rinviabile» e «credo sia arrivato il momento di lavorare per togliere definitivamente il superticket». E sull’altra grande partita, quella della governance, su cui l’ultima manovra ha lasciato a bocca asciutta il mondo del Pharma? «Forse è arrivato il momento di rivedere gli strumenti a disposizione per garantire la sostenibilità della spesa farmaceutica, a partire dal payback, per arrivare a nuovi strumenti di negoziazione del prezzo dei farmaci. Fermo restando i principi che devono essere rispettati: responsabilità sociale ed etica».
Accetterebbe un nuovo incarico a Lungotevere Ripa se per ipotesi se ne presentassero le condizioni? E se sì quali obiettivi riterrebbe prioritari?
I record sono fatti per essere battuti. L’esperienza di questi cinque anni ha arricchito la mia vita. Visitare gli ospedali, stare a stretto contatto con i malati e con i lavoratori che se ne prendono cura mi ha fatto scoprire un mondo – quello della sanità – ricco di eccellenze, umanità e formato da professionisti e operatori che ogni giorno s’impegnano, anche tra molte difficoltà, per mantenere il nostro Servizio sanitario nazionale che, non smetterò mai di dirlo, rappresenta un’eccellenza e un vanto di cui gli italiani devono andare fieri. Detto ciò la priorità a breve termine è aumentare la spesa sanitaria portandola al 7% del Pil e abbattere le liste d’attesa nelle regioni. Priorità per il futuro dev’essere anche quella di come far fronte al notevole aumento della popolazione anziana. Oggi abbiamo 14 milioni di over 65 di cui 4 milioni di non autosufficienti e nei prossimi anni questi numeri sono destinati a moltiplicarsi. Ecco perché credo che occorra trovare dei nuovi modelli per quanto riguarda l’assistenza domiciliare che oggi è un po’ la cenerentola del settore. E in questo senso credo sia fondamentale una forte integrazione tra l’assistenza sociale e quella sanitaria che oggi sono due silos che non si parlano. Sarà poi fondamentale non disperdere tutte le riforme che abbiamo messo in campo in questi anni.
Dalla battaglia su Stamina ai vaccini, dal Patto per la salute alla riforma delle professioni che è stata la partita più lunga: quali sono i provvedimenti che hanno caratterizzato più il suo mandato e che la rappresentano meglio?
Il caso Stamina e il decreto vaccini sono state certamente due battaglie che rifarei in ogni momento anche perché, oltre ad essere state azioni per la tutela della salute dei cittadini e contro questo medio evo scientifico di ritorno, hanno avuto il merito di aver riportato la cultura scientifica e la sanità nell’agenda politica e nel dibattito pubblico nazionale. Ma sono state molte le riforme che abbiamo messo in campo. Il Patto per la Salute è stato l’architrave di molti provvedimenti e ha avuto il merito di tracciare una rotta riformatrice e programmatoria che vedesse lo Stato e le Regioni insieme dopo anni in cui il dialogo tra queste due Istituzioni era pressoché inesistente. E poi con il Patto per la salute, vorrei ricordare, abbiamo messo fine alla stagione dei tagli lineari introducendo il principio che ogni risorsa risparmiata fosse reinvestita nel sistema. E ciò ci ha permesso di sbloccare le risorse per i nuovi Lea e il nuovo nomenclatore che dopo 16 anni sono stati aggiornati (e finanziati) offrendo la possibilità ai cittadini italiani di avere nuove prestazioni. Ma non dimentico nemmeno il fondo per l’epatite C, con cui abbiamo guarito più di 110.000 persone, mentre in altri Paesi non ci sono riusciti, e il fondo per i farmaci innovativi e oncologici. Da ultimo il Ddl Lorenzin che è stato il primo provvedimento da me presentato nel 2013 e l’ultimo ad essere approvato lo scorso dicembre dopo un lunghissimo lavoro del Parlamento. Per me anche questa è una riforma epocale, perché contiene molte misure che impattano sul Ssn e sui 2 milioni di operatori che vi lavorano. Penso alle nuove norme sulle sperimentazioni cliniche, alla medicina di genere, alle pene più severe contro l’abusivismo sanitario e contro chi commette abusi nelle strutture sanitarie per anziani e disabili. E poi abbiamo affrontato dopo 70 anni il tema della riforma degli Ordini professionali sanitari riconoscendo anche nuove professioni come quelle dell’osteopata e del chiropratico. E non da ultimo sono stati istituiti anche nuovi ordini professionali per infermieri, ostetriche, tecnici sanitari di radiologia medica e professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione.
Restano in sospeso grandi partite: come la governance farmaceutica, la revisione del sistema di compartecipazione e dei ticket, la riforma del territorio e i contratti. Certo ha “pesato” il consueto braccio di ferro con il Mef… Qual è oggi il peso specifico del ministero della Salute?
Guardi, far capire l’importanza del tema salute è difficilissimo. In ogni Legge di Bilancio mi sono battuta affinché il Fondo aumentasse, ma non per partigianeria, ma perché sono convinta, da un lato che non si potesse più tagliare e dall’altro che la sanità oltre ad essere un collante per la società sia un comparto che produce crescita e innovazione. Certo, molte cose sono ancora da fare. Per quanto riguarda la governance farmaceutica dobbiamo guardare a due aspetti fondamentali: la velocizzazione delle procedure di approvazione dei nuovi farmaci e la sostenibilità della spesa. Quanto al primo aspetto, con l’ultimo governo abbiamo provveduto all’efficientamento di Aifa con l’ampliamento della pianta organica. Sulla sostenibilità per il contenimento della spesa, già abbiamo provveduto all’istituzione dei due fondi, quello per gli innovativi oncologici e quello per gli innovativi con il quale abbiamo cominciato lo straordinario piano di eradicazione dell’epatite C. Un miliardo l’anno per tre anni, un impegno che il governo ha assunto per consentire l’accesso immediato ai farmaci. Forse è arrivato il momento di rivedere gli strumenti a disposizione per garantire la sostenibilità della spesa farmaceutica, a partire dal payback, per arrivare a nuovi strumenti di negoziazione del prezzo dei farmaci. Fermo restando i principi che devono essere rispettati: responsabilità sociale ed etica. Sulla partita dei ticket abbiamo più volte provato a riformare il sistema di compartecipazione ma credo che sia arrivato il momento di lavorare per togliere definitivamente il superticket. Un primo passo è stato fatto con l’ultima Legge di Bilancio ma ho intenzione di eliminarlo e avevo già trovato le risorse per coprire i 460 milioni di euro.
L’altro vero tema è quello del rinnovo contrattuale…
Mi permetta di ringraziare tutti i lavoratori del Ssn perché in questi anni hanno operato in condizioni molto difficili, tra blocco del turnover e contratto bloccato. Sul contratto le Regioni avrebbero dovuto accantonare in questi anni risorse economiche adeguate perché sapevano che era loro dovere farlo. Con il ministro per la Pubblica amministrazione, Marianna Madia, abbiamo cercato trovare le risorse. Per quest’anno i fondi li avevo trovati con la tassa sul tabacco, che avrebbe liberato risorse per il settore farmaceutico-oncologico. Stiamo parlando di circa 750 milioni che avrebbero sbloccato le risorse necessarie per chiudere la partita contratto e superticket. Non ce l’abbiamo fatta ma questi sono temi non più rinviabili.
Salute e Sanità continuano a essere viste come un fardello, come una voce di spesa, più che come un investimento necessario all’economia del Paese. Non a caso, sono sempre cenerentole nei programmi politici, salvo le uscite sui vaccini degli ultimi tempi. Come invertire questo trend?
Come le dicevo prima in ogni Legge di Bilancio mi sono battuta per aumentare le risorse del Fondo sanitario. Purtroppo la sanità è materia ostica e complicata e la politica troppo spesso se ne occupa superficialmente o la vede solo come una mera voce di spesa. Il tema vaccini è il dibattito politico che ne è uscito è stato purtroppo l’emblema di come la politica strumentalizzi la scienza e le sue verità. E in questo senso ho davvero apprezzato il recente appello lanciato dal mondo medico-scientifico affinché si costruisca una nuova alleanza tra scienza e politica nel tutto interesse della popolazione. Credo però di essere riuscita, in questi anni, a riportare i temi della salute nell’agenda politica nazionale e anche internazionale… penso al semestre italiano e al recente G7 Salute di Milano dove abbiamo raggiunto un’intesa con i grandi del Pianeta su temi fondamentali come per esempio l’impatto dei cambiamenti climatici sulla salute e l’antibiotico resistenza. E penso anche alla Urban health Rome declaration, siglata tra Ministero della Salute e Anci con cui abbiamo disegnato le 15 azioni prioritarie per migliorare la salute delle nostre città. Dal monitoraggio dei sistemi di inquinamento alla riduzione degli inquinanti, ma anche alla trasformazione delle metropoli in veri e propri “organismi viventi”, sostenibili dal punto di vista ecologico e ambientale. Città neutre da punto di vista energetico, in grado di favorire la salute dei cittadini in tutti i campi, dall’aria che si respira al cibo che si mangia.
In questi anni il Fondo sanitario è cresciuto, ma sempre meno di quanto preventivato. Serve una rivoluzione nel modo di allocare le risorse?
Facciamo un passo indietro. Quando sono arrivata nel 2013 volevano togliere 2 miliardi al Fondo sanitario per il mancato aumento dei ticket e ho trovato una situazione in cui metà delle regioni era o in piano di rientro o commissariata. Insomma un sistema che era in default e la mia prima battaglia è stata quella di mettere in sicurezza il sistema. Il tutto in uno scenario economico di forte crisi e con un Pil che aveva il segno meno. In questo contesto, abbiamo messo in moto le centrali uniche d’acquisto, abbiamo riorganizzato gli ospedali con l’introduzione dei nuovi standard ospedalieri, è stato redatto il Piano nazionale cronicità, abbiamo introdotto i piani di efficientamento delle aziende ospedaliere, abbiamo sbloccato molti accordi nell’ambito dell’edilizia sanitaria, abbiamo fatto le nuove norme per le nomine dei manager delle Aziende sanitarie. Mi sono battuta in ogni Legge di Bilancio per ottenere più risorse e nel quinquennio i conti delle Regioni sono tornati in ordine e ho aumentato il Fondo di 7 miliardi. Queste risorse bastano? No, come le dicevo ne servono di più perché abbiamo davanti a noi le sfide dell’aumento della popolazione anziana e delle nuove cure in arrivo, che costano molto. E su questo sono pronta a battermi anche in futuro.
È pensabile un nuovo asse Salute-Miur per programmare i fabbisogni formativi dei medici e delle professioni sanitarie e di conseguenza anche la questione giovani, sblocco del turnover e precariato?
In realtà esiste già un asse Salute-Miur-Regioni in materia di programmazione dei fabbisogni formativi dei medici e delle professioni sanitarie. Ogni anno il ministero della Salute e le Regioni, attraverso un apposito Accordo in Conferenza Stato-regioni, procedono alla determinazione del fabbisogno formativo dei professionisti sanitari ai fini della programmazione da parte del Miur degli accessi ai corsi di laurea.
In questi ultimi anni, peraltro, il ministero, attraverso la partecipazione alla “Joint Action Health Workforce Planning and Forecasting”, un programma di tre anni sostenuto dalla Commissione europea nel quadro del piano d’azione europeo per il personale sanitario, ha elaborato, con il supporto tecnico di Agenas, una metodologia di determinazione dei fabbisogni formativi concordata e utilizzata da tutti gli stakeholder che partecipano al processo, tra cui un ruolo importante è rivestito anche dalle Federazioni e Associazioni maggiormente rappresentative dei professionisti sanitari. La metodologia elaborata ha consentito di formulare previsioni di domanda e offerta di professionisti fino all’anno 2040. Inoltre, è stata analizzata la situazione attuale dei professionisti sanitari ed è stato identificato lo stock di professionisti attivi sul mercato del lavoro indipendentemente dal settore di impiego, andando a quantificare anche la quota di professionisti già formati ma non ancora attivi sul mercato del lavoro.
Il modello previsionale ha avuto un notevole impatto sul sistema di pianificazione apportando miglioramenti in tutti gli step del percorso di sviluppo ed ha dato l’opportunità di mettere in evidenza aree di ulteriore miglioramento per un ulteriore sviluppo futuro.
Per quanto riguarda il turnover lo abbiamo sbloccato con un fondo ad hoc autorizzando 10 mila assunzioni. Ora sta alle Regioni fare i concorsi, tenendo conto dei nuovi fabbisogni di personale. Per quanto riguarda l’accesso alla professione credo invece che si debba lavorare ancora molto e trovare soluzioni per avvicinare i giovani professionisti sanitari al mondo del lavoro offrendo loro al contempo la possibilità di formarsi nel miglior modo possibile. Ma non dimentico infine anche la “Piramide del ricercatore” con cui consentiremo a migliaia di ricercatori sanitari di avere una concreta prospettiva professionale che li porterà ad entrare nei ruoli del Servizio sanitario nazionale anche con qualifica dirigenziale e permetterà ai ricercatori della sanità di avere le stesse possibilità in Italia che all’estero.
Cronicità, grande sfida di domani. Ma manca un Dm 70 per il territorio, sono ancora in fase di avvio dei Pdta integrati e in rete per le principali patologie e ancora, soprattutto, un contratto che riorganizzi l’assistenza. In quanti anni e con quali risorse tutto questo potrebbe essere realizzabile?
Il fenomeno della cronicità ha una significativa portata nel Sistema sanitario ed è in progressiva crescita: si stima che circa il 70-80% delle risorse sanitarie nei paesi avanzati sia oggi speso per la gestione delle malattie croniche e che nel 2020 le stesse rappresenteranno l’80% di tutte le patologie nel mondo.
Ma non siamo all’anno zero. Abbiamo varato il Piano cronicità che richiama autorevoli modelli internazionali. Con il Piano abbiamo definito a livello nazionale di un “disegno strategico” per la gestione della cronicità, che le singole regioni potranno attuare sul proprio territorio in considerazione della propria storia, dei servizi e delle risorse disponibili. Ma non solo, sono state dettate linee di indirizzo su patologie con caratteristiche e bisogni assistenziali specifici, quali: malattie renali croniche e insufficienza renale, artrite reumatoide e artriti croniche in età evolutiva, rettocolite ulcerosa e malattia di Crohn, insufficienza cardiaca, malattia di Parkinson e parkinsonismi, Bpco e insufficienza respiratoria, insufficienza respiratoria in età evolutiva, asma in età evolutiva, malattie endocrine in età evolutiva e malattie renali croniche in età evolutiva. Il Piano segna una svolta importante nell’approccio alla malattia: la persona diviene il centro del sistema di cure, grazie alla costruzione di percorsi diagnostico-terapeutici che la inseriscono in un piano di assistenza il più possibile personalizzato; il paziente quindi non è più utente “passivo” delle cure, ma collabora attivamente alla gestione della sua condizione, arrivando a definire con l’equipe un percorso di cura che gli consenta di convivere con il suo quadro patologico e di “fare fronte” alla patologia. Insomma, non sarà un Dm 70 del territorio ma la rotta da seguire è stata tracciata. È chiaro la sfida è sempre quella di rendere queste riforme uniformi in tutte le regioni.
La verità sui nuovi Lea: a che punto è il livello di monitoraggio nazionale e a che punto sono le Regioni?
In questo momento è in dirittura di arrivo il decreto sulle tariffe che ha richiesto un lavoro lunghissimo dovendo rivedere migliaia di prestazioni. Per quanto riguarda il monitoraggio sappiamo che molte regioni già hanno implementato i nuovi Lea, ma un monitoraggio più preciso lo avremo solo dopo che sarà approvato in Conferenza Stato-Regioni il decreto tariffe.
L’universalismo del Servizio sanitario nazionale: ha ancora un senso e possibilità di esistere o, in tempi di spesa “out of pocket” alle stelle, l’unica ricetta è dare spazio al II pilastro?
Sono una fautrice totale del servizio sanitario nazionale universalistico ma lavorare per esempio sul welfare aziendale è molto importante ed è un tema anche molto sentito nel settore pubblico. La sfida del futuro sarà l’assistenza alle persone anziane e ai bambini, che sono le due categorie più fragili sulle quali dobbiamo fare un grande investimento, e lo dobbiamo fare insieme, pubblico e privato, senza frontiere ideologiche ma cercando soluzioni concrete a bisogni reali. La strada che si sta delineando non prevede un antagonismo fra pubblico e privato, ma un’integrazione tra i due sistemi, finalizzata alla realizzazione di una concreta possibilità di rispondere a tutti i bisogni di salute.
Le sfide biotech e farmaci innovativi: ha in mente una road map per velocizzare l’accesso dei pazienti all’innovazione conciliando esigenze delle imprese e bisogni di cura?
Ci sono procedure adottate dall’agenzia europea con un percorso accelerato che riguardano quei farmaci altamente innovativi e che a cascata vengono recepite dalle singole agenzie nazionali. La sfida futura a cui il sistema Paese e Aifa saranno chiamate è sulle cosiddette terapie avanzate (terapie geniche …). È vero che sono molto costose, ma dobbiamo avere la capacità di guardare al benessere dei cittadini, investire sulla loro salute. Sono farmaci che portano alla guarigione. A parte che una vita umana non ha prezzo, per comprendere la portata dei benefici basta calcolare il risparmio ottenuto rispetto al tenere un paziente in carico, con i costi sanitari e sociali. Rispetto a questo non possiamo avere paura del futuro perché salvare una vita da una malattia prima incurabile porta solo gioia e benefici.
Il federalismo sanitario: male da estirpare o stortura da correggere? E in questa seconda ipotesi, quale la ricetta?
Com’è noto ero favorevole alla riforma della Costituzione perché era prevista una rivisitazione del titolo V che credo ancora oggi debba essere messa in campo per ridare allo Stato centrale i poteri che servono per rendere uniformi le cure su tutto il territorio e rendere effettive per tutti i cittadini le riforme che vengono messe in campo. Non significa abolire l’autonomia, ma valorizzare le cose che funzionano e razionalizzare quelle che non vanno. Per me, per esempio, c’è la necessità di un modello nuovo di commissariamento e di intervento dello Stato, azienda per azienda, invece di commissariare la Regione interveniamo sulla singola azienda sanitaria che non funziona.
Quali chance di successo per l’Italia ha la presentazione del ricorso del Governo contro l’assegnazione della sede Ema ad Amsterdam?
Le possibilità non sono molte, dobbiamo essere chiari, perché conosciamo le procedure di Bruxelles e sappiamo come sia difficile smontare un’operazione del genere. Gli elementi a carico a mio parere sono però gravi: non solo il mancato rispetto dei tempi di consegna dell’immobile, che comunque rischia di compromettere l’operabilità dell’agenzia, ma anche il mancato rispetto dell’offerta economica, di ben 100 euro in più al metro quadrato, con una spesa aggiuntiva per Ema superiore per più di 7.534.000 euro in tre anni. L’Agenzia italiana del farmaco ha sottolineato come questo sia inaccettabile. Questi due elementi costituiscono un fatto grave, non solo rispetto all’Italia, ma anche verso tutti gli altri paesi membri che hanno stabilito delle regole d’ingaggio poi non accettate. Tutto ciò non può passare come se nulla fosse, dal punto di vista giuridico e, soprattutto, da quello politico.
Il Sole 24 Ore sanità – 1 febbraio 2017