La circolare Inps 140/17 ha finalmente sdoganato lo strumento del cumulo contributivo per l’ampia platea degli assicurati che hanno versato almeno parte della propria contribuzione alle Casse di previdenza dei professionisti iscritti a un Albo.
Una volta divenute operative tali istruzioni, resta da valutare caso per caso l’effettiva convenienza del cumulo rispetto agli altri due strumenti per chi ha collezionato sia contributi Inps, sia contribuzione in enti di previdenza privati.
La ricongiunzione onerosa introdotta con la legge 45/90 continua, infatti, a essere operativa e consente di spostare materialmente i contributi da Inps a Cassa di previdenza, e viceversa, dietro il pagamento di un onere che è tuttavia completamente deducibile dal reddito soggetto a tassazione ordinaria nell’anno (o negli anni) in cui la spesa viene effettivamente sostenuta.
Al di là delle considerazioni di natura fiscale, che consentiranno di quantificare la spesa effettiva da sostenere, tale strumento continuerà a essere appetibile per chi abbia necessità di incrementare la sua anzianità contributiva all’interno di uno dei due “comparti” contributivi (Inps o enti di previdenza privati).
Un criterio di scelta può essere quello del metodo di liquidazione dell’assegno pensionistico, che nel caso del cumulo è “pro quota”, dunque applicato secondo le regole proprie di ognuna delle gestioni e casse che compongono la storia contributiva della persona.
Un assicurato con meno di 18 anni di contributi al 1995 nella Gestione Inps dipendenti potrà valutare positivamente l’operazione di ricongiunzione se questa interesserà annualità accantonate prima del 1996 ai fini del raggiungimento del requisito contributivo previsto per la fruizione del metodo di calcolo pensionistico cosiddetto “retributivo puro”, pari a 18 anni di contributi al ‘95.
La circolare 140 ha, infatti, specificato che la contribuzione accantonata presso le casse private, in caso di cumulo contributivo gratuito, non rileverà ai fini della determinazione dell’anzianità contributiva al 1995, consentendo (come già specificato dalla vecchia circolare 120 del 2013) alle sole contribuzioni accantonate presso le varie gestioni Inps di essere considerate rilevanti ai fini del metodo di calcolo dell’assegno di pensione.
Tale ragionamento sarà quindi valido nel caso di lavoratori per i quali il metodo “retributivo puro” applicabile fino al 2011 (anche oltre, in alcuni casi, per effetto dell’articolo 1, comma 707 della legge 190/2014) sarà più conveniente ai fini della massimizzazione dell’assegno di pensione (è il caso di un tenore retributivo basso o piatto per la maggior parte della carriera, con un innalzamento “brusco” nell’ultimo decennio prima della cessazione del rapporto di lavoro).
Il caso opposto si porrà, invece, per quei soggetti che ambiranno all’applicazione del metodo contributivo, in presenza di tenori retributivi elevati e costanti. In quel caso potrà essere più interessante ricorrere alla totalizzazione in base al decreto legislativo 42/06, che comporta l’applicazione generalizzata del metodo contributivo, fatta eccezione per i soli casi di assicurati che, in una delle gestioni o casse di appartenenza, abbiano già maturato il requisito autonomo per diritto a pensione.
Nel caso della totalizzazione andrà inoltre considerato che l’accesso a pensione, benché ancora fissato in requisiti “ante Fornero” (65 anni di età per la pensione di vecchiaia, 40 anni di contributi per la pensione di anzianità) subisce ben due slittamenti dovuti rispettivamente agli adeguamenti a speranza di vita e alle finestre di differimento mobile di 18 e 21 mesi.
Antonello Orlando – Il Sole 24 Ore – 14 ottobre 2017