Nell’aggiornamento del Def i potenziali effetti depressivi delle manovre estive, oltre al peggioramento del quadro internazionale, hanno costretto il Governo a tagliare le previsioni di crescita 2011-14
La casa domina il cantiere condiviso fra manovra e federalismo intorno ai conti degli enti locali, ma non è da sola: tra i dossier che affollano i tavoli dei tecnici e della politica, e che saranno al centro del confronto con i sindaci per ricucire gli strappi provocati dalla manovra, ci sono anche i nodi della «virtuosità», che dovrebbe distribuire sconti ai migliori, e della Robin Tax, chiamata ad alleggerire il conto complessivo su Comuni, Province e Regioni. Tutte le biglie sono in movimento, e da come si fermeranno dipende la sorte di molti bilanci locali per il prossimo anno.
Dal momento che i saldi sono “sacri”, il campo d’azione principale per chi vuol dare più spazio finanziario ai sindaci è quello delle entrate, con una sorta di scambio fra riduzione di risorse e maggiore autonomia fiscale. Una parte di questo scambio è già stata scritta nella manovra-bis, con l’anticipo al 2012 dello sblocco totale per l’addizionale Irpef, ma non è bastata ad abbassare la temperatura nel rapporto fra Governo e Comuni. Nasce da qui l’idea di anticipare al 2012 il debutto dell’imposta municipale unica (si veda anche Il Sole 24 Ore del 19 settembre), che metterebbe nelle mani dei sindaci una leva in più al posto dell’Ici, ancora congelata dal blocco tributario introdotto nel 2008. L’ipotesi presenta dei rischi, al punto che tra le opzioni potrebbe affacciarsi anche quella di un anticipo più “morbido” al 2013, perché se in tanti sfruttassero la possibilità di alzare l’aliquota (il massimo è il 10,6 per mille, contro il 7 per mille dell’Ici, ma bisogna considerare che l’Imu assorbe anche l’Irpef pagata sui redditi fondiari) l’equazione «federalismo fiscale = più tasse locali» diventerebbe difficile da combattere. Un rischio, questo, tanto più concreto per imprese e commercianti, che subirebbero la nuova aliquota senza nemmeno compensarla parzialmente con l’addio all’Irpef sui redditi fondiari.
Rientra in questo scenario anche il lavoro sulle rendite catastali (si veda Il Sole 24 Ore di ieri), il cui ritocco amplia una base imponibile generatrice soprattutto di tributi locali, e quindi di diretto interesse dei sindaci. Questa strada presenta meno rischi della prima perché l’aggiornamento dei valori non sarebbe figlio del federalismo, e i sindaci si vedrebbero aumentare le risorse senza dover toccare le aliquote.
Il ventaglio degli interventi non si esaurisce comunque sulla casa. L’ondata post-manovra si intreccia con il ticket al federalismo municipale, il decreto che più degli altri ha bisogno di revisioni per poter funzionare al meglio. Qui il punto più delicato riguarda la compartecipazione all’Iva, sulla quale la distribuzione pro capite su base regionale zoppica per l’attendibilità dei dati (il quadro Vt delle dichiarazioni, su cui si basa, spesso non è compilato) e non offre al Comune nessun reale premio anti-evasione. L’idea, al riguardo, sarebbe quella di tornare alla compartecipazione Irpef, pensata inizialmente, che permetterebbe al Comune di trattenere una quota del gettito nato sul territorio.
Resta poi tutta da risolvere la questione dei «virtuosi», che secondo la manovra-bis dovrebbe premiare già nel 2012 gli enti che ottengono le performance migliori in base al panel di indicatori scritto nel decreto di luglio. Il problema, sul punto, è che molti degli indicatori non sono applicabili perché mancano i dati, o perché misurano un’evoluzione che può essere registrata solo dopo anni. Da qui nasce l’ipotesi di un’applicazione a tappe, che nel 2012 misuri i Comuni sulla base dei soli indicatori applicabili subito (per esempio l’equilibrio corrente, il rispetto del patto e la capacità di riscossione). Si tratta di un ritocco necessario anche perché, come spiega il presidente della Commissione per l’attuazione del federalismo fiscale Luca Antonini, «il meccanismo della virtuosità ha un’applicazione progressiva, che sta procedendo, e nel giro di qualche anno metterà a disposizione un pacchetto completo di strumenti. Oggi stiamo completando le rilevazioni dei fabbisogni standard sulle prime due funzioni, e gli enti che vanno al voto dal prossimo anno avranno l’obbligo del bilancio “certificato” e della relazione di fine mandato».
Un patto intelligente
Nell’aggiornamento del Def i potenziali effetti depressivi delle manovre estive, oltre al peggioramento del quadro internazionale, hanno costretto il Governo a tagliare le previsioni di crescita 2011-14. Una parte di questo impatto recessivo passa attraverso gli interventi sulla finanza locale. La stretta di luglio ha alzato gli obiettivi imposti sui bilanci locali dal Patto di stabilità interno.
L’inasprimento si cumula ai tagli dei trasferimenti già stabiliti dalla manovra 2010. I sindaci sono scesi in piazza denunciando la sproporzione del peso della manovra tra ministeri e autonomie, l’insostenibilità dei sacrifici, l’impossibilità a garantire servizi adeguati. Ma c’è un aspetto che dovrebbe ancor più preoccupare. Alle strette su trasferimenti e Patto i sindaci hanno risposto innanzitutto riducendo drasticamente gli investimenti.
Le regole del Patto, il blocco delle imposte locali (in attesa del federalismo fiscale!), insieme al maggior costo politico e alle rigidità normative che rendono poco attraenti i tagli sulla spesa corrente, hanno portato a questo drammatico crollo degli investimenti locali (il 70% del totale di quelli pubblici). Questo toglie benzina a uno dei potenziali motori della ripresa, indebolendo anche le prospettive di un rientro duraturo della nostra finanza pubblica su binari meno drammatici. La manovra bis ha aperto nuovi scenari.
Lo Stato ha imposto obiettivi ancor più stringenti, ma ha concesso in cambio qualche spazio sulle imposte locali, a partire dalle addizionali Irpef. Gli enti decentrati hanno un margine di libertà in più che sfrutteranno (come già alcuni Comuni hanno fatto), insieme con possibili inasprimenti delle tariffe. L’aumento dell’Irpef (di fatto un’imposta sul reddito da lavoro) però deprime i consumi, e questo certo non fa bene a una domanda in affanno. Come andrebbe costruito allora un intervento sulla finanza locale più amico della crescita? Si dovrebbe ripensare (ancora!) il Patto.
Per stimolare gli investimenti andrebbero fissati obiettivi differenziati tra parte corrente (più stringenti) e in conto capitale (più laschi), pur senza arrivare a una golden rule che incentiva manovre elusive ed è incoerente con il saldo rilevante per il patto europeo. Dall’altro lato, dovrebbe essere diverso il tax mix attribuito all’autonomia locale. La letteratura economica suggerisce che sono le imposte ordinarie sulla proprietà immobiliare a produrre gli effetti distorsivi minori sulle decisioni economiche di famiglie e imprese, meglio delle imposte sui consumi e ancor di più di quelle sui redditi. Perché allora non sbloccare i margini di variazione dei Comuni sulle aliquote Ici?
Certo la base imponibile dovrebbe essere il più possibile ampia per richiedere, a parità di gettito, aliquote contenute e non gravare, come oggi, su imprese e lavoratori autonomi, oltre che sulle seconde case. Una ragione in più, oltre a quelle che richiamano la necessità di una corrispondenza stretta tra chi finanzia e chi riceve i servizi locali, per riportare nell’Ici, con le dovute agevolazioni sui patrimoni più limitati, la prima casa
Ilsole24ore.com – 3 ottobre 2011