Ieri il vertice del governo con le parti sociali, tra cui Confindustria e sindacati, per cercare delle misure anticrisi
Non c’è l’impressione che il tavolo tra le forze sociali e il governo possa portare molti frutti. O comunque, frutti di qualche significato in tempi brevi. «Per noi le parole chiave sono emergenza e urgenza», dice la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia che parla a nome di questo vasto (e forse non troppo compatto) fronte di 18 associazioni sindacali e datoriali. «Ora aspettiamo i prossimi passi del governo», afferma la leader degli industriali. Ma certo è che l’incontro di ieri a Palazzo Chigi è sembrato riproporre la stanca liturgia ben conosciuta: lo scambio di documenti, lunghi interventi programmatici in cui si conferma la disponibilità a trattare e discutere, l’appuntamento a prossimi incontri «più operativi». Ma anche il solito sfogo di Silvio Berlusconi contro le malefatte dei giudici, il solito compiaciuto autoelogio (nell’imbarazzo degli astanti nella Sala Verde di Palazzo Chigi) sul suo essere un «tycoon» che rende affidabile il nostro paese.
Una liturgia cui forse anche gli stessi protagonisti del confronto credono poco. Del resto, il premier spiega che «se certe cose non riesco a farle la responsabilità è del sistema paese». Sul versante opposto la leader della Cgil Susanna Camusso (che giudica l’incontro «assolutamente insoddisfacente») fa capire di essersi seduta al tavolo soltanto per riguardo nei confronti di Marcegaglia e per non rompere di nuovo con Cisl e Uil, come vorrebbe il ministro Sacconi. In nome di questa realpolitik, Camusso accetta così che nel documentino di sei punti delle forze sociali siano comprese proposte assolutamente lontane dalla cultura della Cgil: il rilancio delle privatizzazioni, ma persino la richiesta di mettere nella Costituzione il principio del pareggio di bilancio. Un’idea cara al «Tea Party» americano che chiuderebbe l’era del keynesismo e della spesa pubblica in deficit per uscire dalle recessioni.
Resta il fatto che per le parti sociali l’ora è grave: l’emergenza «va affrontata con la massima determinazione senza cercare scuse o scappatoie», spiega Marcegaglia. Bisogna dunque «attuare fin dai prossimi giorni i provvedimenti necessari per far rientrare le tensioni sui mercati finanziari», si legge in una nota congiunta delle 18 sigle «sociali» diramata dopo il disastro a Piazza Affari. Un’urgenza colta dal governo? «Noi parti sociali – è la replica diplomatica di Marcegaglia – ci riconvochereremo già la prossima settimana. E ci aspettiamo incontri e convocazioni anche dal governo». Sul tavolo poi c’è il richiamo del presidente uscente della Bce Jean-Claude Trichet, che chiede all’Italia l’anticipo delle misure di risanamento dei conti e sollecita «una maggiore flessibilità del mercato del lavoro».
Silvio Berlusconi al termine dell’incontro ostenta ottimismo: «I mercati reagiscono per ragioni proprie che sono distanti sia dalla realtà economica sia dalla politica. Mio padre diceva che la Borsa è come un’orologio rotto. Investite in azioni delle mie aziende». Insomma, dice, «possiamo arrivare a un patto di stabilità crescita e coesione sociale assolutamente entro settembre, non ho sentito neanche una voce di dissenso». Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti assicura: «Non vogliamo rinunciare alla riforma fiscale. Se la delega assistenziale va avanti riusciamo a fare quella fiscale». Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi sottolinea che si è aperta una «nuova stagione di forte condivisione delle responsabilita», che si concretizzerà «anche lavorando a distanza ma senza soluzioni di continuità ad agosto».
Lastampa.it – 5 agosto 2011