«La creatività con cui disegniamo i nostri progetti deve essere esercitata per progettare anche le nostre opportunità».
È questa la ricetta per sopravvivere alla crisi secondo Antonio Pio Saracino, uno dei giovani architetti italiani più apprezzati al mondo. Dal suo studio di Union Square West a Manhattan ha creato i trofei di Formula1 e Moto Gp, collaborato con Fuksas nel progetto del Palazzo dei Congressi dell’ Eur, e ottenuto il prestigioso riconoscimento della rivista americana “Interior Design Magazine”. «Attualmente – racconta – sto lavorando a un monumento che sarà presentato a maggio nel museo d’ arte di Carafa in Argentina. Poi esporrò i miei lavori a Sidney, New York e Los Angeles. Il mondo è pieno di occasioni, bisogna avere il coraggio di andarsele a prendere». Quella di Saracino è una storia qualunque, la storia di migliaia di professionisti che, arrivati di fronte al muro di opportunità alzato dalla crisi, hanno scelto di cambiare strada. Lo hanno fatto con la freddezza del ragioniere costretto a fare i conti con un calo medio del fatturato del 30%, e da lì sono ripartiti setacciando il mercato alla ricerca di nuovi business.
Gli ingegneri hanno messo da parte il sogno del posto fisso per abbracciare le opportunità della libera professione: i professionisti che a fine 2010 hanno presentato una dichiarazione dei redditi sono stati 70.200 (+21% rispetto al 2008), mentre sono 20mila quelli che associano l’ attività professionale al lavoro dipendente. Timbrare il cartellino non paga come un tempo se è vero «che – spiega il presidente del Consiglio nazionale degli Ingegneri, Giovanni Rolando – il reddito medio di 37.927 euro registrato lo scorso anno è inferiore dell’ 8% rispetto a quello del 2005».
Molti di loro, poi, guardano all’ estero dove il reddito mensile netto raggiunge i 2.500 euro contro i 1.650 dell’ Italia. Lo stesso hanno cominciato a fare i medici individuando nel Regno Unito un mercato preferenziale dove andare a lavorare. Negli ultimi quattro anni sono ben 1.000 i camici bianchi italiani che si sono iscritti al General Medical Council, l’ ordine dei medici britannico. Un’ affinità elettiva confermata dal presidente dei Chirurghi ospedalieri italiani, Rodolfo Vincenti, che definisce «coraggiosa ed epocale» la riforma sanitaria del governo Cameron deciso ad affidare ai medici di famiglia il coordinamento e la gestione di due terzi degli investimenti statali nel settore. Come loro, guardano all’ estero anche gli avvocati che dal 1991 (data dell’ inaugurazione del primo ufficio londinese dello studio Chiomenti) hanno scoperto nei mercati internazionali interessanti opportunità di business. Ad oggi sono 40 le sedi straniere delle law firm italiane, di cui 10 in Cina, il mercato più interessante. Per chi resta a casa, invece, il nuovo volto della professione è scritto nel testo di riforma interna discussa dal Consiglio Nazionale Forense che prevede il riconoscimento di diverse specializzazioni. «Si tratta di corsi di formazione facoltativi – commenta il presidente del Cnf, Guido Alpa – che permetteranno agli avvocati di acquisire particolari competenze nell’ amministrativo piuttosto che nel diritto del lavoro, ed essere così più forti sul mercato». Non convince gli avvocati, invece, l’ equazione tra nuove opportunità di business e “mediazione” obbligatoria, dove dovrebbe finire un milione di cause civili oggi pendenti nei tribunali italiani. Un’ occasione d’ oro, invece, per i 5.000 commercialisti che hanno partecipato ai corsi organizzati dai 160 enti riconosciuti dal ministero della Giustizia per avere le carte in regola e mettere così le mani su una torta da 1 miliardo di euro. «Quello della conciliazione – dichiara il presidente dell’ Ordine dei Commercialisti, Claudio Siciliotti – è solo un capitolo nel volume di opportunità rappresentato dal rapporto di consulenza che si può instaurare tra i commercialisti e la Pubblica Amministrazione. In questo ambito un altro importante capitolo è quello della gestione dei beni confiscati alla criminalità». Anche qui sono 5.000 i commercialisti che hanno fatto domanda di ammissione all’ albo degli amministratori giudiziari, istituito con decreto legislativo il 4 febbraio del 2010 per amministrare i beni e le aziende delle mafie. «Altra grande opportunità – continua Siciliotti – è rappresentata dalla revisione legale, dopo che la legge italiana ha recepito la direttiva europea che la estende anche alle imprese di piccole e medie dimensioni». La nuova categoria nasce nell’ aprile scorso sulle ceneri del vecchio revisore contabile, richiede un corso di formazione, e ad oggi occupa circa 147mila specialisti del bilancio. Molto attivi sul fronte delle PMI sono anche i notai che hanno siglato una serie di accordi con le rappresentanze industriali locali per fornire consulenza alle imprese più piccole. È successo a Milano, tra il Consiglio notarile e la Piccola Impresa di Assolombarda, e nel Lazio tra il Notariato di Roma e Unindustria, la federazione che riunisce le aziende di Roma, Viterbo, Frosinone e Rieti. In entrambi i casi è stato aperto uno sportello per dare assistenza agli imprenditori associati su temi più caldi, che vanno dalla gestione di operazioni straordinarie al ricorso al credito, fino ai problemi legati al passaggio generazionale. Del resto, proprio il rapporto con le PMI è considerato la frontiera del notariato, un tema al quale sarà dedicato il prossimo congresso dei notai europei che si terrà il 28 giugno a Bruxelles. Anche in quest’ occasione si parlerà di come salvarsi dalla crisi, di quali strade percorrere e quali business inseguire. Nella consapevolezza che stavolta per uscire dall’ impasse, oltre a competenza e professionalità, i professionisti dovranno mettere in campo la propensione ben più rara all’ immaginazione.
Repubblica,it – 4 aprile 2011