Fa un certo effetto, e non è un bell’effetto, specialmente in questi tempi di crisi in cui il lavoro manca, molti lo perdono e i giovani non lo trovano, vedere che c’è chi rifiuta il lavoro.
Fanno ancora più effetto le motivazioni di quelli che lo rifiutano, sia nei negozi e nei centri commerciali del Veneziano, che negli alberghi della costa. Non tanto perché il lavoro sia pagato male o sia particolarmente faticoso, anche se di questi chiari di luna sarebbe da salutare con gioia un posto in miniera, quanto perché è un lavoro da fare di domenica. Come fosse un orrore. Una condanna. Un sacrilegio. Come se non ci fossero milioni di persone che in tutto il mondo, in tanti mestieri differenti, lavorano di domenica. Serenamente. Senza traumi. Alcuni anche contenti. Da noi no, mai di domenica. Come fosse un comandamento. Ci si è messo anche un prete, un parroco di Spinea, che ha invitato i fedeli a boicottare gli acquisti della domenica. Finirà che qualcuno inviterà a boicottare la sua chiesa, visto che anche lui il settimo giorno non riposa e apre bottega proprio di domenica. Gli operatori turistici delle spiagge veneziane sostengono che per l’estate ci sono nei loro alberghi migliaia di posti di lavoro che nessuno vuole. E nessuno li vuole, raccontano, perché negli alberghi durante la stagione devi, inevitabilmente, lavorare anche di domenica. Lo stesso spettacolo va in scena nei negozi, nei supermercati e nei centri commerciali che vorrebbero tenere aperto la domenica, come avviene normalmente in moltissime città del mondo, ma si scontrano con i loro dipendenti che non vogliono assolutamente lavorare di domenica. Non solo. Appoggiati dai sindacati, inscenano addirittura scioperi, manifestazioni e cortei. Mai visti lavoratori e sindacati manifestare “contro” un’opportunità di lavoro. Come minimo, hanno sbagliato bersaglio. Non dovevano prendersela con il lavoro domenicale, che è sempre un’opportunità in più, magari per qualcun altro, e quindi da salutare con soddisfazione. Dovevano piuttosto trattare la loro posizione con i loro datori di lavoro, e qui il sindacato avrebbe avuto il suo ruolo, partendo da quello che i contratti di molte categorie di lavoratori già prevedono. Anzitutto, che il lavoro domenicale è volontario. Cioè, se uno non vuole lavorare la domenica, non lavora, e nessun padrone può imporglielo. Questo costringe i padroni ad assumere dell’altro personale se vogliono tenere aperti i loro negozi la domenica. Se invece uno accetta di lavorare anche la domenica, può scegliere tra l’essere pagato (e ci sono contratti che pagano la giornata festiva anche tre volte tanto quella feriale), oppure recuperare la giornata di riposo in un giorno feriale, e anche questo ha i suoi vantaggi. In un caso e nell’altro, il lavoro domenicale porta benefici a tutti: ai padroni perché hanno un’altra giornata di incassi, ai lavoratori perché possono guadagnare di più, e al paese perché si possono creare nuovi posti di lavoro, e si sviluppa l’economia. Solo una mentalità miope può intestardirsi in una battaglia di retroguardia contro le aperture domenicali, quando invece bisognerà cominciare anche a pensare di tenere aperti i negozi la sera, come fanno a Milano dove molti supermercati chiudono alle 22 (ed è comodissimo per chi lavora e non riesce a fare la spesa durante il giorno), e come fanno a New York dove ci sono centri commerciali aperti tutta la notte. E poi, sottovoce, provate a chiedere a qualcuno che lavora la domenica. Vi confesserà che non è poi così male riuscire a dribblare i fantozziani riti della domenica, dalla messa di mezzogiorno al pranzo dai suoceri, dal parco giochi alla tragica gita fuori porta. Meglio, molto meglio lavorare.
Roberto Bianchin r.bianchin@repubblica.it – 18 marzo 2012